Con una recente pronuncia (Cass., 15 novembre 2022, n. 34658), la Corte di Cassazione ha trattato il tema del diritto all’oblio, ossi il diritto alla cancellazione dei propri dati personali relativi ad ogni notizia non più attuale che possa arrecare un pregiudizio alla propria reputazione e riservatezza. La decisione verte sulla portata territoriale della deindicizzazione globale (di seguito, “global delisting”) e sulla legittimità di tale ordine quando emesso da un tribunale italiano o dall’autorità competente.
Quanto alla vicenda che ha preceduto la decisione in esame, nel 2017 un professionista ed ex dirigente, in virtù del suo diritto all’oblio, avanzava al Garante della protezione dei dati personali (di seguito, “Garante Privacy”) la richiesta di totale deindicizzazione delle notizie relative ad un’indagine penale in cui era stato coinvolto, ormai archiviata. Il Garante Privacy accoglieva tale richiesta, ordinando a Google di rimuovere gli URL anche dalle versioni extraeuropee di Google Search. Nel caso di specie, il legittimo interesse del professionista a vedere rimosse tali notizie derivava dal fatto che lo stesso era residente ed operava professionalmente al di fuori dell’Unione Europea.
Così, il motore di ricerca impugnava la decisione avanti al Tribunale di Milano che, nel 2020, annullava la decisione del Garante Privacy nella misura in cui l’ordine di delisting si estendeva anche al di fuori del territorio comunitario, limitando la rimozione alle sole versioni nazionali ed europee del motore di ricerca. Allora, la questione venne sottoposta alla Corte di Cassazione su ricorso presentato dalla difesa del Garante Privacy.
Anzitutto, la Corte osservava che il diritto all’oblio è espressione del diritto fondamentale alla dignità, alla privacy e all’identità personale e deve essere bilanciato con il diritto generale alla libertà di espressione e di informazione, nonché con gli interessi economici del gestore di un motore di ricerca. Tutti diritti tutelati espressamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Ciò posto, la Corte accoglieva tutti i motivi di ricorso del Garante Privacy, facendo applicazione dei principi emersi da due sentenze della Corte di Giustizia dell’UE nella sentenza C-507/2017 del 24 settembre 2019 (il “caso CNIL”), e nella sentenza C-18/08 del 3 ottobre 2019, (il “caso Glawischnig”). Benché prima facie il risultato del caso CNIL potesse sembrare lontano da quello ottenuto con il caso Glawischnig (dove i giudici di Lussemburgo avevano ritenuto che il prestatore di servizi di hosting potesse essere destinatario di un ordine diretto a rimuovere le informazioni oggetto dell’ingiunzione a livello mondiale), la Corte faceva espresso riferimento al paragrafo 72 della sentenza CNILin cui la CGUE aveva affermato che “se da un lato, come osservato al paragrafo 64, il diritto dell’UE non richiede attualmente che la de-referenziazione concessa riguardi tutte le versioni del motore di ricerca in questione, dall’altro non vieta tale pratica. Di conseguenza, un’autorità di controllo o giudiziaria di uno Stato membro rimane competente a valutare, alla luce degli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali (…), il diritto dell’interessato alla vita privata e alla protezione dei dati personali che lo riguardano, da un lato, e il diritto alla libertà di informazione, dall’altro, e, dopo aver soppesato tali diritti, ordinare, se del caso, al gestore di tale motore di ricerca di effettuare una de-referenziazione relativa a tutte le versioni di tale motore di ricerca”.
Alla luce di queste pronunce, la Corte di Cassazione ha motivato che ciascuno Stato membro è libero di effettuare, conformemente agli standard nazionali, un bilanciamento tra tutti i diritti fondamentali in gioco, tra cui rientra di certo anche il diritto all’oblio, che consenta di chiedere al gestore del motore di ricerca di ordinare il delisting globale e, pertanto, la rimozione degli URL contestati da tutte le versioni del motore stesso, incluse quelle extraeuropee.
Ne consegue, dunque, che la portata territoriale o extraterritoriale di un ordine di delisting può dirsi una questione di diritto nazionale e, in Italia, come affermato nella pronuncia in esame, “non vi è dubbio che il diritto alla protezione dei propri dati personali e il suo fondamento costituzionale non tollerino limitazioni territoriali all’esplicazione della sfera di protezione, tanto più che nella specie tale diritto si sovrappone e si accompagna ai diritti all’identità, alla riservatezza e alla contestualizzazione delle informazioni”.
Con questa decisione, la Corte di Cassazione ha offerto una soluzione ad un quesito fondamentale quando si tratta di garantire l’effettiva protezione dei diritti su Internet, inclusi anche i diritti di Proprietà Intellettuale, nonché particolarmente complesso dati i diritti e gli interessi contrastanti che devono essere presi in considerazione ed che devono essere equamente bilanciati.
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