by

Con una decisione che traccia i confini tra diritti IP e libertà di espressione, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’utilizzo nell’ambito di una parodia del personaggio di fantasia Zorro.

Il caso relativo all’uso dei diritti di proprietà intellettuale nella parodia

La controversia che ha portato alla recente decisione della Corte di Cassazione nasce in realtà nel 2007, quando la società statunitense Zorro Productions Inc. evocava in giudizio CO.GE.DI. International – Compagnia Generale Distribuzione S.p.A. deducendo di essere titolare del diritto di sfruttamento economico del personaggio di Zorro nonché dei marchi denominativi e figurativi incentrati su tale figura letteraria, creata nel 1919 dallo scrittore Johnston McCulley. Zorro Productions lamentava che la convenuta avesse commissionato una campagna televisiva e radiofonica in cui il personaggio in questione pubblicizzava l’acqua minerale Brio Blu, così violando i diritti di proprietà intellettuale dell’attrice.

Il giudizio di primo grado si concluse con la vittoria di Zorro Productions, ma la Corte di appello di Roma riformò la pronuncia respingendo tutte le domande attrici in base al rilievo della caduta in pubblico dominio del personaggio di Zorro.

Nel gennaio 2017 si pronunciò una prima volta la Corte di Cassazione, la quale annullò la pronuncia impugnata escludendo la caduta in pubblico dominio dei diritti di sfruttamento vantati da Zorro Productions. La Corte, infatti, rilevò che in forza della Convenzione di Ginevra del 1952 le opere di cittadini statunitensi pubblicate in Italia godono della medesima protezione prevista dall’art. 25 dalla nostra l. n. 633 del 1941, e cioè fino al settantesimo anno solare dalla morte dell’autore.

La Corte d’Appello di Roma, pronunciandosi nuovamente sulla questione, concludeva:

  • quanto al diritto d’autore, che l’imitazione del personaggio di fantasia Zorro da parte della convenuta, seppur fatta in chiave parodistica, integrava una violazione dei diritti d’autore di Zorro Productions, in quanto:
    1. nel nostro ordinamento non ha trovato attuazione la previsione di cui all’art. 5, comma 3 della Direttiva Infosoc (che ha riservato agli Stati membri la facoltà di prevedere, quale eccezione al diritto di riproduzione e di comunicazione al pubblico, l’utilizzo a scopo di caricatura o parodia);
    2. nella fattispecie non si era in presenza dell’elaborazione di un’opera originale che presentasse un riconoscibile apporto creativo;
  • quanto alla contraffazione dei marchi, che essa andava esclusa, in quanto il riferimento al personaggio di fantasia Zorro risultava operato in un contesto narrativo, senza che venisse in rilievo alcun intento distintivo, posto che:
    1. l’utilizzo del personaggio non era collegato al prodotto in quanto Zorro non risultava bere l’acqua commercializzata da CO.GE.DI.;
    2. l’immagine del marchio non risultava apposta sulle confezioni del prodotto per contrassegnarlo.

A questo punto, CO.GE.DI. ricorreva nuovamente per Cassazione.

La decisione sul confine tra parodia e violazione dei diritti di proprietà intellettuale

    I. Parodia e diritto d’autore

Nel pronunciarsi sulla questione, la Corte di Cassazione ricostruito la normativa applicabile alle parodie ed i principi ad essa sottesi. Premessa la pacifica tutelabilità del personaggio di fantasia, la Corte ha svolto il ragionamento riassunto di seguito:

  • la parodia implica un ineliminabile carattere di parassitismo rispetto all’opera parodiata, nel senso che essa trova fondamento proprio nella preesistenza di un’opera di riferimento cui operare rimandi in chiave deformante. Pertanto, essa non può essere ricondotta nella categoria delle elaborazioni creative di cui all’art. 4 l. n. 633/1941, in quanto non si pone in una relazione di «continuità» con l’originale (come accade, ad esempio, nel caso della traduzione linguistica), ma integra un vero e proprio «rovesciamento concettuale» della creazione cui intende riferirsi.
  • è vero il legislatore italiano non ha recepito in una disposizione specifica l’ipotesi di cui all’art. 5, comma 3 lett. k della Direttiva Infosoc, ma l’assenza di tale intervento normativo deve ascriversi al fatto che l’art. 70 già ricomprende l’eccezione di parodia, intesa come espressione del dritto di critica e discussione dell’opera protetta; e
  • la parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che abbia titolo allo sfruttamento dell’opera, o del personaggio, e la libertà di espressione dell’autore della parodia stessa: ne consegue che la ripresa dei contenuti protetti può giustificarsi nei limiti connaturati al fine parodistico e sempre che la parodia non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell’opera o del personaggio originali, come accade quando entri in concorrenza con l’utilizzazione economica dei medesimi

Ciò premesso, la Corte conclude che sentenza impugnata non appare condivisibile nello svolgimento argomentativo e nelle conclusioni cui perviene, in quanto il giudice del rinvio risulta aver subordinato l’elaborazione del personaggio Zorro in chiave parodistica a condizioni che risultano estranee alla disciplina positiva.

   II. Parodia e marchi

Quanto all’uso parodistico del marchio, la Corte di Cassazione, dopo aver appurato che l’utilizzo del marchio operato da CO.GE.DI all’interno dello spot pubblicitario integra un uso del segno nell’attività economica, osserva che:

  • Il vero punto della questione è se il diritto del titolare di opporsi allo sfruttamento del segno possa trovar fondamento in un uso non distintivo del segno. Sul punto, la giurisprudenza comunitaria mostra di non ritenere decisivo, ai fini della contraffazione, l’uso del marchio in funzione distintiva. La circostanza che un segno sia percepito dal pubblico interessato come decorazione non osta, di per sé, alla tutela conferita dall’art. 5, comma 2, della dir. 89/104/CEE (quella accordata ai marchi notori) laddove il grado di somiglianza sia nondimeno tale da indurre il pubblico interessato a stabilire un nesso tra il segno ed il marchio d’impresa.
  • quel che rileva, nell’uso vietato del marchio, è l’accostamento tra i segni che sia in grado di incidere sulla percezione, da parte dell’utente, dei messaggi comunicati dal marchio registrato di cui è invocata tutela. Nel caso della rappresentazione parodistica può venire in questione proprio detto agganciamento parassitario, giacché l’evocazione caricaturale del marchio altrui, che trae la propria vitalità dalla rinomanza di questo, crea un legame col messaggio di cui quest’ultimo è portatore.

È quindi corretto sostenere che, ai fini della contraffazione dei marchi Zorro, non era necessario che si facesse un utilizzo del segno volto a contrassegnare fisicamente il prodotto, essendo invece sufficiente che del marchio si faccia «un uso di tipo narrativo idoneo ad agganciare i pregi del marchio altrui».

Takeaways

 

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo: “La pronuncia della Corte di Giustizia sul caso C-401/19 sulla responsabilità degli Internet Service Provider

(Visited 537 times, 1 visits today)
Close Search Window