Tra i profili di maggiore interesse nel rapporto tra Intelligenza Artificiale e diritto antitrust vi è quello concernente il rischio che gli algoritmi – e, in particolare, gli algoritmi di prezzo, sempre più utilizzati dalle imprese per determinare in tempo reale la migliore strategia di prezzo – possano agevolare fenomeni di collusione tra imprese concorrenti e dare luogo a nuove forme di coordinamento anticompetitivo.
Collusione esplicita e collusione tacita
Per “collusione” si intende qualsiasi forma di coordinamento tra imprese concorrenti con l’obiettivo di innalzare o mantenere i profitti oltre il livello cui giungerebbero in uno scenario competitivo, ossia in assenza del comportamento collusivo.
Si è soliti distinguere nella scienza economica tra “collusione esplicita” e “collusione tacita”. Il primo termine viene riferito a comportamenti collusivi che costituiscono il frutto di accordi o pratiche concordate tra imprese, ovverosia al coordinamento cosciente e volontario. Il secondo termine a forme di coordinamento basate sul parallelismo di comportamenti da parte di imprese concorrenti che, sebbene consapevole (conscious parallelism), sia il risultato non di intese bensì di scelte autonome.
In linea di principio, il diritto antitrust non proibisce il parallelismo di comportamenti tra imprese concorrenti (tacit collusion), bensì proibisce le intese anticompetitive (explicit collusion), vietate a livello UE dall’art. 101 TFUE e a livello nazionale dall’art. 2 della Legge n. 287/1990.
Il rischio di collusione generata o facilitata dall’uso di algoritmi
Il principale rischio dal punto di vista antitrust legato all’uso degli algoritmi è che questi sono in grado di facilitare fenomeni collusivi tra imprese concorrenti o rendere possibili nuove forme di coordinamento; in alcuni casi anche in assenza della preventiva programmazione dell’algoritmo per il raggiungimento del risultato collusivo.
Si parla dunque di “collusione algoritmica” e la letteratura economica e giuridica ha individuato quattro scenari: (i) monitoring algorithms, (ii) parallel algorithms, (iii) signalling algorithms e (iv) algoritmi self-learning.
Quattro possibili scenari di collusione algoritmica
- Monitoring Algorithms
In questo scenario l’ipotesi è che ciascuna impresa partecipante a un’intesa sui prezzi possa verificare, mediante l’uso di un algoritmo debitamente programmato per monitorare i prezzi applicati sul mercato, che l’intesa abbia avuto effettiva attuazione da parte degli altri partecipanti (ossia verificare che le altre imprese partecipanti all’intesa applichino effettivamente il prezzo concordato) e scorgere eventuali deviazioni. In questo caso l’algoritmo fungerebbe da strumento facilitatore della stabilità di un’intesa anticompetitiva.
- Parallel Algorithms
In economia si osserva che nei mercati altamente dinamici è difficile che un’intesa anticompetitiva possa avere successo dal momento che le continue e repentine modifiche delle condizioni di mercato richiedono altrettanto frequenti aggiustamenti del prezzo oggetto dell’intesa e dunque continue comunicazioni tra i partecipanti all’intesa per concordare nuovi prezzi. Tali comunicazioni aumentano il rischio che l’intesa anticompetitiva possa essere individuata (e, dunque, investigata) dalle autorità competenti. In questo scenario si ipotizza che le imprese possano ricorrere ad algoritmi di prezzo con l’obiettivo di determinare reazioni contemporanee e parallele alle variazioni delle condizioni di mercato, così replicando uno scenario di parallelismo consapevole di comportamenti. In questo contesto criticità concorrenziali possono sorgere nel caso in cui le imprese concordino di programmare gli algoritmi di prezzo non con l’obiettivo di competere tra loro ma per fissare in maniera coordinata i propri prezzi ad un livello sovracompetitivo.
- Signalling Algorithms
È un fenomeno noto che imprese concorrenti possono raggiungere un’intesa volta al coordinamento dei propri comportamenti senza fare ricorso a comunicazioni esplicite, attraverso segnalazioni e annunci unilaterali riguardanti le condizioni commerciali che intendono applicare e allineando i propri comportamenti sulla base di tali annunci. Potrebbe però accadere che imprese non osservino i segnali trasmessi dai concorrenti oppure decidano volontariamente di non conformare il proprio comportamento agli annunci dei concorrenti.
In questo scenario si ipotizza che algoritmi debitamente programmati possano favorire un allineamento automatico del comportamento delle imprese agli annunci dei concorrenti. Ciascuna impresa potrebbe trasmettere in questo modo – attraverso appunto signalling algorithms – continui segnali riguardanti, ad esempio, il prezzo che intende applicare. Quando tutte le imprese interessate trasmettono il segnale che annuncia l’applicazione del medesimo prezzo, gli algoritmi di ciascuna impresa elaborano i segnali dei concorrenti e garantiscono che le imprese applichino il prezzo oggetto di quel messaggio. Ciò equivale sostanzialmente al raggiungimento di un accordo tra le imprese per l’applicazione di quel prezzo.
- Self-learning Algorithms
Vi può infine essere il caso che attraverso l’uso di tecnologie di machine learning e deep learning, un algoritmo altamente sofisticato possa esso stesso assumere autonome decisioni commerciali, sviluppate sulla base dell’analisi e dell’elaborazione dei dati del mercato.
Si pensi all’ipotesi di algoritmi self-learning, programmati per massimizzare i profitti delle imprese, che apprendano in autonomia, senza alcun intervento umano, che, almeno in certi contesti di mercato, il modo più efficace per raggiungere questo obiettivo sia quello di coordinare le condotte commerciali con quelle dei concorrenti.
L’impiego di algoritmi self-learning di questo tipo potrebbe dunque condurre ad un risultato collusivo che si verifica senza che l’algoritmo sia stato programmato per realizzare un’intesa restrittiva della concorrenza o agevolare la sua attuazione.
Algoritmi self-learning e diritto antitrust
Con l’Indagine Conoscitiva condotta congiuntamente dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e il Garante per la Protezione dei dati personali è stato osservato come la diffusione di algoritmi di prezzo procollusivi può facilitare la stabilità di cartelli e la creazione di contesti di mercato favorevoli ad equilibri collusivi.
L’Indagine Conoscitiva avverte in particolare come, in presenza di algoritmi sofisticati, caratterizzati da meccanismi di machine learning, la difficoltà di individuare l’ ingrediente decisivo per una violazione dell’art. 101 TFUE – ossia lo scambio di volontà tra concorrenti finalizzato a concordare e coordinare una determinata pratica commerciale – sia a dir poco, complicata, pur sottolineando come la repressione delle intese restrittive della concorrenza facilitate dallo sviluppo di algoritmi sofisticati è una delle priorità nell’attività dell’AGCM.
Se, infatti, i primi tre scenari di collusione algoritmica visti sopra possono essere più facilmente ricondotti entro il perimetro di applicazione del divieto delle intese restrittive della concorrenza, contribuendo a realizzare o comunque a facilitare un’intesa restrittiva della concorrenza, maggiori dubbi si pongono con riferimento al risultato collusivo realizzato attraverso gli algoritmi self-learning, non costituendo tale risultato il frutto di uno scambio di volontà.
Eppure, è proprio quest’ultima fattispecie quella che fa sorgere le preoccupazioni maggiori.
Un algoritmo self-learning che abbia come obiettivo quello, di per sé certamente lecito, di definire le strategie di prezzo migliori che consentano di massimizzare il profitto dell’impresa potrebbe apprendere che uno dei modi, se non il modo più efficace, per raggiungere l’obiettivo sia quello di allineare il proprio prezzo a quello dei concorrenti su valori sovracompetitivi.
L’utilizzo diffuso di algoritmi self-learning potrebbe così portare a risultati collusivi anche in mercati non particolarmente concentrati, in considerazione dell’elevata capacità dei sistemi di AI di elaborare velocemente le informazioni del mercato (come eventuali deviazioni del prezzo dei concorrenti dal prezzo sovracompetitivo) e dell’abilità degli algoritmi di determinare in tempo reale la strategia di prezzo migliore (ossia che massimizzi i profitti dell’impresa) sulla base di tali informazioni.
In assenza (per il momento) di norme esplicite che disciplinano espressamente l’utilizzo degli algoritmi e sanzionano la collusione algoritmica, la questione principale oggetto di discussione è: (i) se le norme generali del diritto della concorrenza siano o meno sufficienti per accertare e reprimere condotte di collusione algoritmica dannose per la concorrenza, ad esempio, interpretando estensivamente i concetti di “accordo” e “pratica concordata” o facendo ricorso alla fattispecie della posizione dominante collettiva e del suo abuso; (ii) se sia necessario o meno un intervento normativo e quale tipo di intervento (ad es. un intervento normativo che individui espressamente le fattispecie di collusione algoritmica suscettibili di costituire un illecito concorrenziale oppure un intervento che stabilisca determinati requisiti e condizioni d’uso degli algoritmi e gli opportuni i controlli atti a prevenire fenomeni collusivi).
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Autori: Alessandro Boso Caretta e Massimo D’Andrea