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Negli ultimi giorni, grande attenzione mediatica è stata rivolta al recentissimo provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM“) che ha inflitto ingenti sanzioni alle imprese Fenice S.r.l. e TBS Crew S.r.l., titolari dei diritti e dei marchi legati alla personalità dell’influencer Chiara Ferragni, per un ammontare rispettivamente di 400 mila euro e 675 mila euro, e alla Balocco S.p.A., per una somma di 420 mila euro, ritenendo che queste avessero condotto una pratica commerciale scorretta nel promuovere lo scorso anno il “Pandoro Pink Christmas” associato al nome di Chiara Ferragni.

Come ormai noto, tale promozione faceva intendere ai consumatori che il diretto acquisto del pandoro avrebbe contribuito a una donazione a favore dell’Ospedale Regina Margherita di Torino, finalizzata all’acquisto di un nuovo macchinario per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing. Invece, la vera e unica donazione, pari a 50 mila euro, d’accordo tra le parti coinvolte era stata effettuata da Balocco già a maggio 2022.

Come riportato nel comunicato stampa dell’Autorità del 15 dicembre scorso, l’ACGM ha ritenuto che la pratica commerciale scorretta posta in essere dalle menzionate società si fosse articolata nelle seguenti condotte:

  • far credere, nel comunicato stampa di presentazione dell’iniziativa, che acquistando il ‘Pandoro Pink Christmas’ al prezzo di oltre 9 euro, anziché di circa euro 3,70 del pandoro non griffato, i consumatori avrebbero contribuito alla donazione che, in realtà, era già stata fatta dalla sola Balocco, in cifra fissa, a maggio 2022, quindi molti mesi prima del lancio dell’iniziativa, avvenuto a novembre 2022;
  • aver diffuso, tramite il cartiglio apposto su ogni singolo pandoro ‘griffato’ Ferragni, informazioni idonee ad avvalorare la circostanza – non vera – che l’acquisto del prodotto avrebbe contribuito alla donazione pubblicizzata;
  • aver pubblicato post e stories sui canali social della signora Ferragni in cui si lasciava intendere che comprando il ‘Pandoro Pink Christmas’ si poteva contribuire alla donazione e che la Signora Ferragni partecipava direttamente alla donazione, circostanze risultate non rispondenti al vero, nonostante le sue società avessero incassato oltre 1 milione di euro.”

In aggiunta, l’Autorità ha attribuito particolare rilevanza al prezzo stesso del pandoro “griffato”, venduto al pubblico ad una cifra che equivale approssimativamente a due volte e mezzo il costo del tradizionale Pandoro Balocco. Tale strategia ha evidentemente tratto in inganno i consumatori, consolidando la loro percezione di sostenere una causa benefica attraverso l’acquisto del “Pandoro Pink Christmas”.

Pertanto, secondo l’AGCM le condotte attuate dalle società coinvolte hanno limitato considerevolmente la libertà di scelta dei consumatori facendo leva sulla loro sensibilità verso iniziative benefiche. Così, violando il dovere di diligenza professionale di cui all’art. 20 del D.lgs. n. 206/2005 (“Codice del Consumo“) e integrando una pratica commerciale scorretta, connotata da elementi di ingannevolezza ai sensi degli articoli 21 e 22 del Codice del Consumo.

Non vi è dubbio che questo provvedimento costituirà d’ora in poi un importantissimo precedente per casi simili, sia rispetto ai parametri che dovranno essere applicati in termini “soglia di ingannevolezza” sia in termini di quantificazione monetaria della sanzione.

Alla luce di questa recente decisione, tutti i soggetti che vorranno svolgere attività di Cause Related Marketing (“CRM“) – la cui forma più comune è proprio quella del collegamento esplicito tra l’acquisto di beni o servizi e la devoluzione dei ricavi verso una causa o una specifica organizzazione non profit – dovranno prestare ancora più attenzione alle modalità con cui intenderanno promuovere la propria iniziativa.

Anzitutto, ogni azienda che si affaccia al CRM dovrà rendere evidente la natura pubblicitaria del messaggio, evitando confusioni o ambiguità che potrebbero trarre in inganno i consumatori. La pubblicità, infatti, deve essere palese, veritiera e corretta. Ciò significa che le informazioni trasmesse dovranno essere attendibili e tali da non indurre in errore i consumatori e da consentire agli stessi di prendere decisioni consapevoli nella scelta di acquisto di un prodotto o di un servizio. È vietata anche l’omissione di dati rilevanti che potrebbero influenzare tale scelta, come il fatto ad esempio che le donazioni siano a quota fissa e indipendenti dal numero di prodotti venduti. Il consumatore deve sempre essere messo nella posizione di capire esattamente a cosa sta contribuendo.

Proprio nel contesto del CRM, sarà essenziale fornire informazioni dettagliate sul costo del prodotto o del servizio e sulla specifica percentuale devoluta in beneficenza. Questi elementi dovrebbero essere parte integrante delle informazioni fornite agli acquirenti, come previsto dalla legge che richiede la divulgazione delle caratteristiche principali del prodotto e degli impegni del professionista, nonché una chiara spiegazione del processo di vendita (art. 21, co. 1, lettere b) e c) del Codice del Consumo). Solo queste informazioni, infatti, possono “giustificare” il prezzo aggiuntivo che i consumatori sono disposti a pagare per sostenere una causa sociale tramite l’acquisto di prodotti o servizi promossi da una o più aziende.

Si aggiunga anche che i messaggi di comunicazione sociale dovrebbero sempre riportare l’identità dell’autore e del beneficiario della richiesta, nonché l’obiettivo sociale che si intende raggiungere, senza sovrastimare lo specifico o potenziale valore del contributo all’iniziativa.

Infine, i messaggi sociali che l’azienda diffonde dovranno essere concretamente in linea con la propria condotta e attività. In caso contrario, anche i diretti concorrenti potrebbero subire indirettamente dei danni a causa del vantaggio competitivo ottenuto dall’azienda che, proclamandosi responsabile socialmente, attira una parte di consumatori sensibili a tematiche etiche. Come noto, infatti, è considerato sleale ogni comportamento che va contro i principi di correttezza professionale e che potrebbe danneggiare l’azienda altrui e come tale costituire un atto di concorrenza sleale.

Assicurarsi di mantenere una condotta trasparente è la chiave per evitare controversie e costruire relazioni di fiducia nel mercato. Pertanto, il rispetto della normativa illustrata deve essere percepito come un impegno imprescindibile per le aziende che intendono evitare ripercussioni negative sulla propria reputazione e attività.

Come si è visto nel caso in esame, infatti, le pratiche commerciali scorrette, la pubblicità ingannevole e la concorrenza sleale sono attività rischiose che possono portare le aziende ad incorrere in ingenti sanzioni amministrative, oltre che rischi reputazionali.

Ciò che è certo è che in attesa di un intervento legislativo per meglio definire linee guida e best practices relative alle attività di CRM, le aziende dovranno necessariamente seguire le regole generali in materia di pubblicità e tutela del consumatore sopra menzionate.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Sanzione dell’AGCM da 3,6 milioni di euro per pratiche commerciali scorrette contro una catena di distribuzione“.

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