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Il product placement, ossia l’inserimento di prodotti, soprattutto di noti fashion brand, per fini promozionali, è sempre più frequente nei video musicali, ma, a differenza di serie tv e film, il quadro normativo è meno definito.

Infatti, spesso non viene chiarito se la presenza di un determinato brand all’interno di un video musicale sia una sponsorizzazione o solamente una citazione o menzione dello specifico marchio, soprattutto quando viene fatto riferimento allo stesso nel testo della canzone.

Uno degli esempi più celebri di product placement “visivo” è l’inquadratura delle scarpe di un noto marchio di sportswear indossate da Kurt Cobain nel video di “Smells Like Teen Spirit” dei Nirvana. Il product placement “verbale”, ossia la menzione di brand di moda nei testi delle canzoni, è invece molto diffuso soprattutto nel mondo del rap dove è prassi utilizzare marchi e nomi di brand nei brani (c.d. name dropping). In alcuni casi, poi, il medesimo marchio appare nel video e viene anche menzionato nel testo della canzone, così amplificando l’effetto promozionale del brano. È il caso di “Non mi basta più”, di Baby K, tormentone estivo del 2020 che recitava “ti ho in testa come Pantene” e nel cui videoclip apparivano la cantante e Chiara Ferragni, entrambe testimonial del brand di prodotti per capelli. Precedentemente, nel singolo “I Like It” la rapper Cardi B aveva citato un famosissimo modello di sneakers di un noto brand. Questa citazione ha generato una forte visibilità per la casa di moda e ha portato la cantante a diventare il volto della campagna pubblicitaria della stessa.

In altri casi la menzione del marchio può – almeno sulla carta – avere effetti negativi sulla reputazione di un brand. Basti pensare alla canzone “Music Session Vol. 53” di Shakira, dove vengono menzionati alcuni noti brand di auto e di orologi in un “velenoso” confronto tra marchi comunemente ritenuti sofisticati e altri più popolari e accessibili.

Non solo jingle: il product placement come strumento pubblicitario

Tecnicamente, si parla di product placement come di una comunicazione commerciale che consiste nell’inserire o fare riferimento a prodotti, nomi di brand, loghi ecc. in contesti narrativi, ossia video musicali, film, serie tv, e videogiochi. Tale posizionamento è tendenzialmente regolamentato da un accordo, che di norma prevede un compenso, tra i soggetti che realizzano l’opera audiovisiva e la casa di produzione dei prodotti pubblicizzati. In molti casi, quindi, il product placement rappresenta anche una forma di finanziamento delle opere audiovisive o musicali: in cambio dell’esposizione pubblicitaria di marchi e prodotti viene garantito un corrispettivo ad artisti e produttori o, alternativamente, vengono forniti beni o servizi per la produzione audiovisiva.

Nel contesto musicale il product placement (verbale o visivo) è uno strumento pubblicitario molto efficace, anche perché consente al brand di legarsi ad un certo immaginario e allo stile rappresentato dall’artista o dalla nicchia musicale di riferimento. Grazie al product placement, infatti, si realizza un’intensa integrazione e associazione tra il prodotto o il nome del brand e il contesto narrativo, ossia la storyline dei video musicali.

Allo stesso tempo, è una forma di pubblicità meno “invasiva” di una classica reclame, in quanto lo spettatore può essere meno consapevole di essere destinatario di un messaggio pubblicitario. Si tratta, quindi, di una pubblicità indiretta, ma è pur sempre una pubblicità.

Peraltro, la forte interconnessione e complementarità che si è osservata negli ultimi anni tra moda, musica e cinema, insieme alla circolazione virale sui social network dei frammenti più iconici di alcuni video musicali, rende questa strategia promozionale particolarmente efficace: la forza comunicativa di un product placement è ancor più rinforzata quando raggiunge lo spettatore-consumatore sia attraverso le immagini del prodotto/brand nei video musicali, che spesso viene riproposto sui differenti canali social, sia attraverso la sua menzione nel testo della canzone.

Dove finisce la musica ed inizia la pubblicità: la normativa applicabile

Nel nostro ordinamento, il decreto legislativo n. 208/2021 (cd. TUSMAR), nell’ambito delle disposizioni sulla pubblicità, le sponsorizzazioni e l’inserimento di prodotti, prevede una disciplina generale in materia di inserimento di prodotti, ossia il product placement, nei servizi di media audiovisivi e radiofonici. In particolare, il TUSMAR oggi consente tale forma di comunicazione commerciale, nel rispetto di determinate condizioni, in tutti i servizi di media audiovisivi, fatta eccezione per i programmi per i notiziari, programmi di attualità, programmi per i consumatori, programmi religiosi e programmi per bambini.

In particolare, il TUSMAR vieta l’inserimento tramite product placement di alcuni prodotti, come sigarette e altri prodotti a base di tabacco o contenenti nicotina, incluse le sigarette elettroniche e i contenitori di liquido di ricarica, o prodotti di imprese la cui attività principale è la produzione o la vendita di tali prodotti, oltre che di specifici medicinali, dispositivi medici di cui al Regolamento (UE) n. 2017/745 o cure mediche, che possono essere ottenute esclusivamente su prescrizione nell’ambito del territorio italiano.

Produttori, emittenti, concessionarie di pubblicità e altri soggetti interessati sono stati chiamati ad adottare codici di autoregolamentazione che rispettino i principi e le previsioni stabiliti dal TUSMAR.

Tuttavia, il TUSMAR si applica ai fornitori di servizi media audiovisivi e radiofonici e concessionari radiofonici, ossia a prodotti audiovisivi e cinematografici, mentre la possibile applicazione a case discografiche e ai produttori di video musicali non è ben definita.

Ciononostante, la normativa pubblicitaria italiana e, in particolare, l’art. 5 del decreto legislativo n. 145/2007 e l’art. 7 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, impongono la riconoscibilità di qualsiasi messaggio pubblicitario. In altri termini, la normativa applicabile, anche indipendentemente dalle specifiche norme sul product placement di cui al TUsMAR, prevede espressamente che i messaggi pubblicitari siano sempre riconoscibili come tali e distinti da qualsiasi altra forma di comunicazione.

Di conseguenza, anche nel caso in cui determinati brand o prodotti siano menzionati o inseriti nei video musicali e nelle canzoni, quando ciò sia stato fatto dietro compenso o, comunque, sulla base di un accordo commerciale tra artista e brand, tale affiliazione deve essere comunicata in modo chiaro e trasparente.

Trattandosi spesso di contenuti diffusi dagli stessi artisti sui social network o comunque su piattaforme di video sharing, trova applicazione anche la Digital Chart varata dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e pensata inizialmente per l’influencer marketing.

Tra le varie previsioni, la Digital Chart impone, nel caso dei video, di esplicitare la collaborazione con un brand in maniera chiara ed inequivocabile, ad esempio attraverso l’uso di hashtag o diciture come “in collaborazione con” sia all’inizio che alla fine del video, analogamente a quanto accade, ad esempio, nei programmi televisivi, dove spesso viene segnalato “programma con inserimento di prodotti a fini pubblicitari”.

In conclusione, il product placement di prodotti di noti brand nei video musicali non costituisce pubblicità occulta se vengo rispettati i criteri previsti dalla normativa applicabile, ma andrebbe comunque debitamente segnalato a consumatori e utenti, nel rispetto della disciplina pubblicitaria.

Fashion brand e musica, una duratura collaborazione

A differenza di quanto accade nel mondo del cinema, quando un brand viene citato in una canzone o appare in un video musicale, non è sempre chiaro se tra artista e marchio sia intervenuto un accordo commerciale oppure se tale menzione debba ricondursi esclusivamente alla libertà espressiva e artistica del cantante.

L’incertezza può essere dettata anche dal fatto che spesso gli accordi di collaborazione tra cantante e brand possono intervenire successivamente all’uscita del brano. In altri termini: nella canzone l’artista inserisce un certo brand per ragioni artistiche, ma dopo il successo della canzone la casa di moda propone una collaborazione. Ciò è accaduto, ad esempio, nel caso di “My Adidas” dei Run-D.M.C., che hanno pubblicato la canzone come omaggio al brand di cui erano appassionati e successivamente hanno siglato un accordo con il marchio.

Vi sono, poi, casi più dubbi, in cui non è stato chiarito se il brano sia stato realizzato in collaborazione con il brand oppure sia stato “opzionato” dal marchio una volta definito il testo. Un esempio è “Cara Italia” di Ghali, che è stato utilizzato come colonna sonora nella pubblicità di una nota compagnia telefonica prima ancora di essere pubblicato.

In conclusione, il product placement nell’ambito di video musicali è un’efficace e profittevole strategia di promozione di prodotti e brand, poiché viene realizzata una comunicazione veloce e diretta, in cui il contenuto è rapidamente identificabile e può essere ricordato facilmente tramite l’associazione tra musica e immagini, anche grazie alla possibilità di rivedere e condividere più volte un video di una canzone su piattaforme e social network.  Le case produttrici hanno anche l’opportunità di sfruttare la fama e il brand del cantante stesso, oltre che la notorietà che sarà raggiunta dal brano, generando engagement e attenzione mediatica. Questo determina un allargamento del target di riferimento raggiunto dal messaggio pubblicitario, che va ad includere anche la fanbase dell’artista.

L’inserimento tramite product placement deve però essere realizzato in modo organico e convincente all’interno della struttura e dello script del video musicale, e – quando l’inserimento del prodotto o del brand avviene a valle di un accordo commerciale – l’affiliazione deve essere esplicitata secondo le regole ordinarie al fine di evitare sanzioni per pubblicità occulta.

Su di un simile argomento, il seguente articolo può essere di rilievo: “Nuovi sviluppi in tema di customizzazioni e upcycling e responsabilità dei resellers”

Autrici: Lara Mastrangelo e Chiara D’Onofrio

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