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Un recente rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”), ha sollevato un importante interrogativo in materia di tutela dei marchi: il titolare di marchio può vietare la conservazione in magazzini di prodotti contraffatti in un Paese in cui il marchio non è protetto, se tali prodotti sono destinati alla vendita in un paese in cui il marchio è invece tutelato?

Questa è la questione al centro della causa Tradeinn Retail Services (C‑76/24), sottoposta alla CGUE dalla Corte federale tedesca, e che è stata, di recente, oggetto delle conclusioni dell’Avvocato Generale (“AG“) Spielmann.

Il ricorrente è titolare di due marchi registrati in Germania che proteggono, tra le altre cose, attrezzature per le immersioni, quali mute, guanti, maschere e apparecchi per la respirazione. Nonostante i marchi non fossero apposti né sui prodotti né sul loro imballaggio, il convenuto — un’impresa con sede in Spagna — ha offerto in vendita sul mercato tedesco beni analoghi, utilizzando i segni distintivi del ricorrente.

Ritenendo che tale condotta costituisse una violazione dei propri diritti, il ricorrente ha promosso un’azione legale in Germania, chiedendo un’ingiunzione che vietasse l’uso dei suoi marchi in relazione alla commercializzazione e vendita di accessori per immersioni nel territorio tedesco, inclusa la conservazione in magazzino di tali prodotti a fini commerciali.

Il rinvio pregiudiziale alla CGUE

La Corte Suprema Federale tedesca ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea due quesiti concernenti l’interpretazione dell’art. 10, par. 3, lett. b), della Direttiva (UE) 2015/2436, al fine di chiarire la portata del divieto di stoccaggio di merci in violazione di un marchio nazionale.

In particolare, ha rivolto alla CGUE le seguenti domande:

  1. se il titolare di un marchio nazionale possa vietare a un soggetto stabilito in un altro Stato membro di conservare in magazzino merci che violano tale marchio, qualora tali merci siano destinate ad essere offerte o immesse in commercio nel territorio in cui il marchio è protetto;
  2. se, ai fini dell’integrazione della nozione di “stoccaggio” ai sensi dell’art. 10, par. 3, lett. b), sia necessario che il soggetto in questione abbia un accesso diretto alle merci, ovvero se sia sufficiente che possa esercitare un’influenza determinante su chi ne ha il controllo effettivo.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale

Nelle sue conclusioni, l’Avvocato Generale Spielmann ha ribadito che, sebbene la tutela conferita dai marchi nazionali sia territorialmente circoscritta, essa può estendersi anche ad atti posti in essere al di fuori del territorio di registrazione, qualora tali atti siano chiaramente rivolti ai consumatori situati al suo interno.

Con riferimento al primo quesito, l’Avvocato Generale ha richiamato la giurisprudenza della Corte (tra cui si segnalano le sentenze L’Oréal e a., C-324/09, e Class International, C-405/03), sottolineando come l’elemento centrale da considerare sia la destinazione commerciale delle merci: ciò che rileva non è il luogo in cui esse vengono conservate, bensì se tale condotta sia funzionale alla loro offerta o commercializzazione nel territorio in cui il marchio gode di protezione.

In tal senso, l’Avvocato Generale ha affermato che l’art. 10, par. 3, lett. b), della Direttiva deve essere interpretato nel senso che consente al titolare di un marchio nazionale di vietare la conservazione, anche al di fuori del territorio di registrazione, di prodotti che violano i suoi diritti, laddove tali prodotti siano destinati ad essere offerti o immessi in commercio nel territorio in cui il marchio è protetto.

Quanto al secondo quesito, l’Avvocato Generale ha chiarito che la nozione di “stoccaggio” deve essere intesa come concetto autonomo del diritto dell’Unione e interpretata alla luce della giurisprudenza che ha affrontato il concetto di “uso” del marchio (si vedano, tra le altre, le cause Daimler, C-179/15, e TOP Logistics, C-379/14). In particolare, ha precisato che è sufficiente che il soggetto eserciti un controllo diretto o indiretto sull’attività di conservazione, ad esempio attraverso istruzioni impartite a terzi, purché sia in grado di influenzare in modo determinante la distribuzione o la destinazione delle merci.

Osservazioni conclusive

Qualora la Corte dovesse aderire alla posizione espressa dall’Avvocato Generale, ne deriverebbe un rafforzamento del potere di enforcement dei titolari di marchi nazionali nel contesto del commercio digitale e transfrontaliero. L’elemento decisivo non risiederebbe nel luogo fisico in cui i beni sono detenuti, né nella sede del soggetto che li conserva, bensì nella finalità commerciale perseguita e nella destinazione territoriale dei prodotti in violazione.

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