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Lo scorso 13 maggio la Divisione Locale di Düsseldorf ha reso la prima decisione dell’UPC in materia di brevetti di secondo uso medico.

Il procedimento, che ha visto coinvolte primarie aziende multinazionali del settore farmaceutico, si inserisce in un più ampio contesto di contenziosi avviati sin dal 2014 dinanzi ai tribunali nazionali.

La controversia, promossa avanti al Tribunale Unificato dalla titolare del brevetto e dalla sua licenziataria esclusiva, verte sull’asserita violazione di una privativa avente ad oggetto il secondo uso medico di un medicinale già noto per la riduzione del colesterolo, il cui ulteriore impiego terapeutico è invece volto alla diminuzione dei livelli di lipoproteina(a) nel sangue. Secondo la tesi di parte attrice, infatti, il gruppo di società convenuto avrebbe commercializzato un farmaco in violazione della privativa, in quanto esso sarebbe stato commercializzato non già solo per l’ipercolesterolemia, ma proprio per la riduzione delle lipoproteine e, dunque, in violazione del brevetto.

La parte convenuta, oltre a chiedere il rigetto delle domande avversarie, ha proposto domanda riconvenzionale di nullità del brevetto azionato, sollevando plurimi profili di invalidità.

La Corte, dopo aver richiamato i principi generali sulla novità come criterio di brevettabilità, ne ha riconosciuto la sussistenza nel caso di specie. In particolare, ha ritenuto che l’uso terapeutico rivendicato fosse effettivamente nuovo poiché né l’indicazione terapeutica, né il gruppo di pazienti cui quest’ultima è destinataria risultavano compresi nello stato della tecnica. Prendendo le mosse da tali conclusioni, i giudici hanno altresì riconosciuto la sussistenza dell’attività inventiva, escludendo che l’esperto del ramo avrebbe potuto conseguire i risultati oggetto della privativa sulla base delle conoscenze disponibili anteriormente alla data di brevettazione dell’invenzione.

Quanto poi alla sufficiente descrizione, la Corte, ribadendo principi già espressi in alcuni precedenti giurisprudenziali, chiarisce come, ai fini dell’apprezzamento di tale requisito, debbano essere presi in considerazione il brevetto nel suo complesso, inclusi gli esempi, e la comune e generale conoscenza dell’esperto del ramo. Inoltre, nei casi di secondo uso terapeutico, anche l’uso – quale parte della rivendicazione – deve essere sufficientemente descritto. Ciò premesso, nel caso specifico, date le informazioni tecniche fornite nel brevetto in causa, compresi i dati clinici presentati, e alla luce delle comuni conoscenze dei tecnici del ramo, la Divisione Locale ha ritenuto sussistente anche il requisito della sufficiente descrizione.

Con riguardo all’estensione del brevetto oltre il contenuto della domanda iniziale, ad avviso delle convenute, dalla domanda originaria non sarebbero stati direttamente e univocamente desumibili alcuni dati fondamentali per individuare la popolazione di pazienti destinataria del secondo uso medico. Di diverso avviso è stato invece il Tribunale, secondo il quale tali informazioni possono essere ricavate direttamente e in modo inequivocabile dalla domanda di brevetto da parte della persona esperta del ramo, così accantonando l’eccezione sollevata.

Esclusa la nullità della privativa, la Corte si sofferma poi sull’accertamento della lamentata contraffazione. Dapprima, la Corte chiarisce che ad oggi, in tema di contraffazione di brevetti per secondo uso medico non vi sono specifiche previsioni normative e non v’è un ancora un orientamento consolidato dell’UPC. Ciò premesso, e ribadita la necessità di un corretto bilanciamento tra l’esigenza di garantire una adeguata tutela al titolare del brevetto e quella di assicurare una ragionevole certezza giuridica ai terzi, la Corte afferma la sussistenza della contraffazione al ricorrere di elementi oggettivi e soggettivi. In particolare, quanto al profilo oggettivo, il contraffattore deve aver offerto, o immesso sul mercato, il farmaco con modalità tali da determinarne o poterne determinare l’uso terapeutico rivendicato nella privativa. Rispetto all’elemento soggettivo, è invece necessario che l’autore della violazione sapesse, o fosse nelle condizioni di sapere, che quell’uso terapeutico avrebbe trovato applicazione.

Nel caso di specie, viene osservato che l’effetto di riduzione delle lipoproteine è menzionato tra le proprietà del farmaco e non, invece, tra le indicazioni terapeutiche ufficiali. Ciò significa che non si tratta di un uso autorizzato dal punto di vista regolatorio, né tantomeno promosso come tale dalla casa farmaceutica. In altri termini, la menzione dell’effetto terapeutico derivante dal secondo uso brevettato è solamente descrittiva e non prescrittiva: si limita a riportare un dato oggettivo senza invitare il medico a utilizzare il farmaco per tale specifica finalità.

In ogni caso, come sottolineato dalla Corte, la sola conoscibilità dell’effetto terapeutico da parte dei medici o dei pazienti non è sufficiente a fondare una responsabilità per contraffazione. Un caso opposto si sarebbe invece prospettato se l’azienda avesse indirizzato attivamente l’uso del farmaco verso l’indicazione brevettata, attraverso istruzioni, promozioni, materiali informativi o altre modalità. Ma di tutto ciò parte attrice non ha fornito alcuna prova.

Alla luce di tutte queste considerazioni, la Corte ha rigettato la domanda di contraffazione.

La decisione della Divisione Locale di Düsseldorf, da un lato, ha confermato la tutela accordata dall’ordinamento europeo alle rivendicazioni di secondo uso medico, valorizzando l’innovazione terapeutica anche in assenza di nuove molecole. Dall’altro, ha posto un freno a interpretazioni estensive della nozione di contraffazione, richiedendo in capo al contraffattore una chiara volontà promozionale, o quantomeno un incentivo all’uso brevettato, gravando sul titolare del diritto leso un preciso onere probatorio.

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