Nel contesto della disciplina antitrust statunitense e, più in generale, del diritto della concorrenza, la pronuncia del 17 settembre 2025 del Tribunale Federale della California sul contenzioso relativo alle borse Birkin e Kelly di Hermès rappresenta un caso paradigmatico per l’analisi delle strategie di esclusività dei marchi di lusso e dei limiti dell’intervento giudiziale in tale settore.
E infatti, le iconiche borse Birkin e Kelly non costituiscono soltanto oggetti di desiderio, ma veri e propri strumenti strategici di mercato, la cui esclusività è attentamente gestita al fine di preservarne il prestigio e il valore economico.
La causa, promossa da Tina Cavalleri, Mark Glinoga e Mengyao Yang nel marzo 2024, contestava l’ipotesi secondo cui Hermès avrebbe condizionato la vendita delle sue borse più ambite all’acquisto preliminare di una serie di prodotti accessori (“prodotti secondari” o “accessori del brand”), configurando un illecito di c.d. vincolo commerciale (“tying”) vietato dallo Sherman Act e dalla normativa antitrust californiana. Il rigetto con giudizio definitivo chiude ogni possibilità di futura contestazione in merito alle accuse secondo cui Hermès realizzi tali illeciti concorrenziali.
Il ricorso lamentava che Hermès avesse costretto i consumatori a effettuare acquisti aggiuntivi di sciarpe, gioielli, profumi e altri prodotti del marchio come condizione per accedere alla vendita di borse Birkin o Kelly, definendo tale pratica come coercitiva e artificiosamente elevante il prezzo reale delle borse. I querelanti sostenevano, in particolare, che il prezzo nominale di una Birkin, spesso superiore a diecimila dollari, celasse un “sistema di lotteria” che imponeva l’acquisto di ulteriori prodotti per poter accedere all’acquisto della borsa desiderata, generando un profitto addizionale per Hermès anche dai consumatori che non riuscivano a qualificarsi per la compravendita di tali borse. Contestualmente, i ricorrenti hanno avanzato accuse di pubblicità ingannevole e frode, sostenendo che Hermès avesse deliberatamente ingannato i consumatori sulla disponibilità delle borse stesse.
Il procedimento ha visto il rigetto di più versioni delle denunce dei querelanti per carenze nell’allegazione dei tre elementi essenziali di una pratica di vincolo commerciale: la definizione di un mercato rilevante, l’indicazione del potere di mercato del prodotto vincolato e la dimostrazione di un danno concorrenziale effettivo.
La Corte, con ordinanza del 17 settembre 2025, ha confermato la fondata insufficienza delle pretese avanzate. In primo luogo, la definizione del mercato proposta dai querelanti, basata su articoli accademici datati e rapporti generali sul consumo del lusso, non ha soddisfatto il requisito della sostituibilità dei prodotti, necessario per delimitare un mercato rilevante ai fini antitrust (cfr. Areeda & Hovenkamp, Antitrust Law, 4th ed., 2020). La mera unicità culturale o il prestigio di una Birkin o Kelly non costituiscono, di per sé, un mercato autonomo. In secondo luogo, la presunta quota di mercato del 60-75% non costituisce di per sé prova di potere di mercato; per l’accertamento del potere monopolistico è necessario dimostrare la capacità di Hermès di influenzare prezzi o escludere concorrenti senza perdita significativa di clienti. Infine, la Corte ha rilevato l’assenza di elementi concreti di pregiudizio concorrenziale nel mercato dei prodotti accessori, che comprendeva una molteplicità eterogenea di beni, dai profumi agli articoli per la casa. L’antitrust mira a prevenire effetti restrittivi sulla concorrenza reale e non la semplice frustrazione dei consumatori dovuta alla scarsità dei beni.
La pronuncia evidenzia come le pratiche di esclusività e la gestione selettiva dei clienti possano costituire strumenti legittimi di tutela del brand e della proprietà intellettuale, a condizione che non producano effetti restrittivi sulla concorrenza. Il caso rappresenta un precedente significativo per l’industria del lusso, confermando che il controllo sull’accesso ai prodotti più iconici e prestigiosi può rientrare nelle strategie lecite di valorizzazione del marchio e protezione del suo prestigio. Al contempo, la decisione delinea con chiarezza i confini della responsabilità antitrust: le strategie di vincolo commerciale diventano problematiche solo quando l’impresa sfrutta il dominio su un prodotto per limitare l’ingresso o l’attività dei concorrenti in mercati correlati, generando un effetto anticoncorrenziale concreto. In sostanza, l’esclusività si conferma come un potente strumento di branding e protezione della proprietà intellettuale, legalmente difendibile, purché non comporti restrizioni sostanziali alla concorrenza né riduca in modo significativo la libertà di scelta dei consumatori.
Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Sandali Oran di Hermès: il marchio salvato dalla decadenza nell’UE“.

