La Corte d’Appello di Torino ha recentemente emesso una sentenza di particolare rilevanza in materia di tutela di un marchio non convenzionale, pronunciandosi sul caso relativo alla divisa ufficiale della Juventus per la stagione 2019/2020, denominata “Be The Stripes”. Il contenzioso ha visto coinvolti il club torinese, un suo rivenditore autorizzato, Pegaso, e la società portoghese Mussara.
L’oggetto della disputa riguardava la commercializzazione di una maglia che riproduceva le caratteristiche distintive di quella originale progettata da Adidas per la Juventus. Nel 2019, la società bianconera aveva avviato un’azione legale contro Pegaso, contestando la violazione di un marchio non registrato, concorrenza sleale e la lesione di un design non registrato. Il Tribunale di Torino aveva accolto le richieste della Juventus, condannando Pegaso al pagamento di oltre 100.000 euro, somma determinata sulla base dei profitti illecitamente conseguiti.
Pegaso ha impugnato la decisione, negando la sussistenza di un marchio non registrato sulla divisa contestata e sostenendo che eventuali diritti sulla stessa spettassero esclusivamente ad Adidas, in quanto soggetto responsabile del design. Tuttavia, la Corte d’Appello ha confermato integralmente la sentenza di primo grado, respingendo tanto il ricorso principale di Pegaso quanto gli appelli incidentali proposti dalla Juventus e da Mussara.
Sotto il profilo giuridico, è stata riconosciuta la titolarità della Juventus sul marchio costituito dalla combinazione cromatica della divisa (marchio cromatico di fatto), rilevando come il caratteristico schema a strisce bianconere fosse ormai indissolubilmente associato al club torinese da oltre un secolo. La Corte ha inoltre affermato che la presenza di divise con colori simili in altre squadre non pregiudica la validità del marchio cromatico, in virtù della possibilità di coesistenza di segni distintivi simili nel mercato, ai sensi dell’art. 28, comma 1, del Codice della Proprietà Industriale.
Particolarmente rilevante è stato l’applicazione del principio della cumulabilità delle tutele, consolidatosi a seguito della pronuncia Cofemel della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-683/17, 12 settembre 2019). La Corte d’Appello ha infatti riconosciuto la possibilità di coesistenza, sulla medesima divisa, di differenti diritti di proprietà intellettuale: da un lato, i diritti di modello registrato detenuti da Adidas e, dall’altro, i diritti di marchio vantati dalla Juventus.
Sulla base di tali premesse, è stata accertata la contraffazione del marchio da parte di Pegaso, nonché la sussistenza di condotte di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. La decisione ha evidenziato tre elementi chiave della violazione: la riproduzione della coccarda dello scudetto sulla divisa contestata, la medesima scelta cromatica con la caratteristica separazione rosa tra le bande bianche e nere e l’uso del marchio “CR7 Museu”, concesso in licenza da Mussara e richiamante l’allora stella bianconera Cristiano Ronaldo.
In aggiunta, la Corte ha riconosciuto la responsabilità contrattuale di Mussara, ritenendola inadempiente al principio di buona fede contrattuale sancito dagli artt. 1175 e 1375 c.c. Mussara, infatti, ha negato a Pegaso l’autorizzazione alla commercializzazione di un modello alternativo alla maglia contraffatta, già oggetto di inibitoria giudiziale, pregiudicando così il legittimo affidamento del licenziatario.
La decisione della Corte d’Appello rappresenta un precedente significativo nel panorama della tutela della proprietà intellettuale nel settore calcistico, dove le divise ufficiali sono frutto di accordi commerciali tra club e sponsor tecnici. Il caso conferma la capacità della Juventus di difendere i propri diritti, indipendentemente dalle eventuali rivendicazioni dello sponsor tecnico, e ribadisce il principio secondo cui l’uso costante di una determinata combinazione cromatica può generare un marchio non registrato riconoscibile e tutelabile.
Questa sentenza si inserisce in un più ampio contesto di iniziative legali promosse dalla Juventus per la tutela del proprio brand, come dimostrato da altre azioni, tra cui la nota pronuncia del Tribunale di Roma del 2022 contro l’uso non autorizzato dei marchi del club in contenuti digitali e NFT.
In prospettiva futura, le implicazioni di tale pronuncia potrebbero estendersi ben oltre il settore sportivo, incidendo in modo rilevante sulla disciplina della protezione dei diritti di proprietà intellettuale e sulla gestione delle partnership commerciali in ambiti in cui la coesistenza di più titolari di diritti su uno stesso bene è una realtà diffusa.
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