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L’11 aprile 2025, il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza di particolare rilievo in materia di concorrenza sleale e pubblicità parassitaria. La decisione rappresenta un importante chiarimento sui limiti della comunicazione commerciale lecita e sulle condotte riconducibili all’ambush marketing.

All’origine della controversia vi è un’inserzione pubblicitaria affissa nei pressi del Football Village di UEFA Euro 2020, che è costata a un primario ecommerce una sanzione di 100.000 euro per mano dell’AGCM. Il manifesto raffigurava una maglietta bianca con il logo dell’azienda, circondata dalle bandiere delle 24 nazioni partecipanti al torneo, accompagnata dallo slogan “Chi sarà il vincitore?”. Secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, tale insieme di elementi avrebbe indotto il pubblico a ritenere, erroneamente, che il primario ecommerce fosse uno degli sponsor ufficiali dell’evento sportivo.

L’intervento dell’Autorità si fonda sull’art. 10 del D.L. 16/2020, che vieta «le attività di pubblicizzazione e commercializzazione parassitarie, fraudolente, ingannevoli o fuorvianti poste in essere in relazione all’organizzazione di eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale, non autorizzate dai soggetti organizzatori e finalizzate a ottenere un vantaggio economico o concorrenziale».

A seguito della sanzione, il primario ecommerce ha dapprima proposto ricorso al TAR Lazio, che lo ha rigettato con la sentenza n. 13478/2023, ritenendo legittima la decisione dell’Autorità. Il Tribunale ha sottolineato come il messaggio pubblicitario, nel suo complesso, fosse idoneo a generare confusione nel consumatore medio, configurando un classico esempio di ambush marketing.

La società ha quindi appellato la sentenza davanti al Consiglio di Stato, sostenendo, tra l’altro, l’assenza di un collegamento ingannevole tra il proprio marchio e l’evento sportivo, e lamentando la violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), poiché la campagna promuoveva valori inclusivi e la sua rimozione avrebbe costituito un’indebita compressione della libertà di espressione.

Il giudice amministrativo di ultima istanza ha tuttavia escluso la violazione della CEDU, rilevando che la sanzione ha colpito non il contenuto del messaggio, ma le modalità e il contesto della sua diffusione.

A giudizio del Collegio, la campagna pubblicitaria della società risultava idonea a creare un collegamento ingannevole con UEFA Euro 2020, in considerazione di diversi fattori: la prossimità fisica dell’affissione al Football Village; la presenza del marchio della società su una maglietta calcistica; l’inclusione delle bandiere delle nazioni partecipanti; e lo slogan evocativo. In altre parole, tali elementi, valutati nel loro insieme, hanno generato un framing comunicativo tale da indurre in errore il consumatore medio, facendogli ritenere che la società fosse un partner ufficiale della manifestazione.

Infatti, come ribadito nella decisione in parola e come già chiarito dalla magistratura civile, «la pratica dell “ambush marketing”:

  • consiste nell’associazione di un marchio o di un prodotto ad un evento di grande risonanza mediatica, effettuata senza l’autorizzazione dell’organizzatore dell’evento […];
  • è considerata ingannevole, poiché induce in errore il consumatore medio sull’esistenza di rapporti di sponsorizzazione ovvero di affiliazione o comunque di collegamenti con i titolari di diritti di proprietà intellettuale invece, insussistenti e costituisce un’ipotesi particolare di concorrenza sleale contraria alla correttezza professionale che può trovare tutela nell’alveo generale dell’art. 2598, comma 3, c.c.
  • [induce il concorrente sleale ad associare] abusivamente l’immagine ed il marchio di un’impresa ad un evento di particolare risonanza mediatica senza essere legato da rapporti di sponsorizzazione, licenza o simili con l’organizzazione della manifestazione; in tal guisa lo stesso si avvantaggia dell’evento senza sopportarne i costi, con conseguente indebito agganciamento all’evento ed interferenza negativa con i rapporti contrattuali tra organizzatori e soggetti autorizzati […]».

Il Consiglio di Stato ha quindi stabilito che, ai sensi dell’art. 10 del D.L. 16/2020, è sufficiente anche un collegamento indiretto tra un marchio e un evento per integrare una condotta sanzionabile, se tale associazione risulta idonea a trarre in inganno il pubblico. Non è necessario, infatti, l’uso esplicito di loghi o denominazioni ufficiali: è sufficiente l’effetto percettivo complessivo generato dal messaggio promozionale.

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Autrice: Noemi Canova

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