Con il boom dello sportswear ci sono opportunità per sviluppare nuove forme di tecnologia tessile e registrarle come brevetto.
Con un numero sempre crescente di persone che si impegnano ad avere uno stile di via più sano e attivo, l’industria dello sportswear e del cd. atleisure, ossia l’abbigliamento sportivo utilizzato nella vita di tutti i giorni, sta vivendo un momento di grande espansione. In questo contesto, stanno aumentando le collaborazioni tra brand e aziende biotech finalizzate a creare nuove forme di tecnologia tessile e registrarle come brevetto, atteso che queste ultime hanno un ruolo chiave nel successo dei capi.
Le ragioni alla base della tendenza a prediligere una vita sana, ormai diffusissima quantomeno nel mondo occidentale, sono molteplici, complesse e interconnesse. Se da un lato la pandemia ha giocato indubbiamente un ruolo chiave nel ridisegnare le priorità delle persone e nel riportare in auge le attività all’aria aperta e il desiderio di stare bene con sé stessi, dall’altro alcuni dei maggiori trend nati su Tik Tok, come #thatgirl e #gorpcore, hanno amplificato in maniera esponenziale la narrazione secondo cui fare attività fisica, se possibile all’aria aperta, e prendersi cura di sé (magari con una skincare routine coreana in 10 step) sia cool.
Al di là di ogni possibile speculazione sui fattori scatenanti di questa tendenza, ciò che è certo è che non svanirà presto. Secondo il report di McKinsey sull’industria dello sportswear, il mercato globale dell’abbigliamento sportivo dovrebbe crescere dell’8-10% all’anno fino al 2025, passando da 295 miliardi di euro nel 2021 a 395 miliardi di euro nel 2025. In questo contesto, fa la sua parte, contribuendo all’incremento costante delle vendite, anche la cd. “enclothed cognition“, un fenomeno secondo cui ciò che indossiamo condiziona i nostri stessi pensieri e comportamenti. In altri termini, non tutti i consumatori di abbigliamento sportivo, dopo averlo comprato, praticheranno regolarmente attività fisica, ma l’acquisto di tali capi rende comunque più probabile questo comportamento. In un certo senso, le persone acquistano abbigliamento sportivo per auto-stimolarsi ad essere più attive. Come afferma Joris Fonteijn, Chief Product Officer di Crobox, “indossare scarpe da corsa è già un passo avanti verso l’attività stessa della corsa. L’abbigliamento può definire l’intenzione fin dall’inizio, e con l’activewear questa intenzione è ‘essere attivi’“.
Oggi, quindi, le aziende di sportswear trasformano i prodotti tecnici, originariamente pensati esclusivamente per lo sport, in articoli di moda da vendere ad un pubblico molto ampio di consumatori che è o vuole sentirsi ‘attivo’. Dal canto loro, i consumatori sono molto più informati di un tempo e non si accontentano della mera estetica dell’indumento, se poi la qualità non soddisfa le loro esigenze. Prestazione, funzionalità e comfort stanno infatti emergendo come caratteristiche prioritarie, che gli operatori del settore devono saper garantire e pubblicizzare. Si pensi, ad esempio, a Patagonia, da sempre attenta ad utilizzare materiali riciclati o riciclabili, a Columbia, nota per la tecnologia tessile stretch e wicking, o – ancora – ad Alo Yoga, che sulle texture confortevoli con effetto sculpt dei propri leggings ha basato intere campagne pubblicitarie.
Inutile dire che queste forme di tecnologia tessile hanno un ruolo fondamentale nel successo di un prodotto, potendo diventare dei veri e propri slogan pubblicitari e contribuendo a differenziare il marchio di sportswear dalla concorrenza. Ma qual è il modo migliore per proteggere legalmente queste caratteristiche tecniche?
Anche se la tutela brevettuale, di norma, non viene subito in mente quando si pensa all’industria della moda, questa si rivela spesso uno strumento molto utile per l’abbigliamento sportivo e l’atleisure. Inoltre, la tutela brevettuale conferisce una protezione di lunga durata (20 anni dalla data di deposito), riflette la superiorità tecnica di un prodotto e garantisce l’esclusiva su determinati tessuti e forme funzionali.
Come noto, per costituire oggetto di brevetto, un’invenzione deve soddisfare determinati requisiti, come disciplinato dal Codice della Proprietà Intellettuale. In particolare, l’invenzione (i) deve essere lecita, (ii) deve essere suscettibile di applicazione industriale, (iii) deve essere nuova e (iv) non deve essere considerata ovvia dall’esperto del settore, cioè essa non deve risultare deducibile in modo intuitivo dal complesso patrimonio delle conoscenze accessibili alla data di deposito della domanda di brevetto (stato della tecnica).
Nel caso in cui il trovato sia scoperto da un team interno del brand, sarà fondamentale individuare il mercato sul quale i prodotti che incorporano l’invenzione saranno venduti, al fine di valutare per quale brevetto sarà opportuno depositare la domanda, considerato che i diritti da esso conferiti hanno portata territoriale.
Inoltre, un marchio dotato di un team interno di inventori dovrà prestare particolare attenzione ai contratti di lavoro stipulati con questi ultimi. Gli accordi con i dipendenti che possono creare proprietà intellettuale, infatti, dovrebbero includere (i) la dichiarazione che il dipendente è stato assunto per svolgere attività inventiva e (ii) la dichiarazione che l’azienda si impegna a corrispondere al dipendente un compenso ad hoc per la proprietà intellettuale risultante da tale attività. Lo stesso principio si applica se l’attività inventiva è svolta da un lavoratore autonomo.
Tuttavia, non tutti i brand sono abbastanza strutturati da avere un ufficio interno dedicato alle invenzioni, con la conseguenza che la tecnologia tessile utilizzata dal brand potrebbe anche essere ottenuta in virtù di una licenza. Ciò è accaduto, ad esempio, a Novozymes, un’azienda biotecnologica danese che ha sviluppato e registrato un brevetto relativo ad una tecnologia tessile per il trattamento dei jeans “stone washed”. La tecnologia tessile, brevettata nel 1987 e basata su un enzima che rimuove parte del colorante indaco dal denim, ha poi avuto un incredibile successo, venendo concessa in licenza in tutto il mondo.
In quest’ottica, riteniamo che il boom dell’industria dello sportswear potrebbe determinare nuove occasioni di partnership tra brand e aziende biotecnologiche o tra aziende e gruppi di ricerca universitari che si occupano di tessuti per registrare un brevetto. Infatti, se l’industria della moda in generale ha sempre investito ingenti somme nella tutela di marchi e disegni registrati, al fine di proteggere la forma e l’aspetto dei capi, la propensione dei consumatori ad acquistare capi sì comodi, ma soprattutto innovativi, potrebbe comportare un aumento delle registrazioni di prodotti di tecnologia tessile quale brevetto in questo campo.
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