I fatti di cronaca relativi al caso plusvalenze mostrano sempre più l’esigenza di regolamentazione del valore dei giocatori di calcio.
Le indagini sulle società di calcio italiane che avrebbero aumentato le valutazioni di scambi di giocatori per aiutare i club a far quadrare i propri bilanci sono nei fatti di cronaca degli ultimi giorni generando le c.d. plusvalenze mostra come una regolamentazione del valore di scambio dei giocatori sia urgente.
Nella controversia, l’argomentazione più rilevante della decisione della Corte d’Appello della FIGC è da ricercarsi nella “erronea affermazione” secondo la quale l’inesistenza del metodo di valutazione del valore del trasferimento/acquisizione delle prestazioni sportive di un calciatore può legittimare l’iscrizione in bilancio di diritti per qualsiasi importo, svincolati da considerazioni riguardanti l’utilità futura del diritto nonché da elementi di coerenza della transazione. Per comprendere meglio il significato di questa mancanza di un metodo di valutazione e i conseguenti problemi causati alla stabilità del calcio italiano, è necessario chiarire le norme contabili che regolano l’allocazione dei diritti di trasferimento nel bilancio delle società.
Per la società di calcio acquirente, i diritti alle prestazioni dei calciatori rappresentano un’immobilizzazione immateriale, con una durata limitata nel tempo, iscritta nell’attivo di bilancio al costo di acquisizione, soggetta ad ammortamento per la durata del contratto. Le attività immateriali sono una categoria particolare di attività, e per la loro esposizione nel bilancio d’esercizio valgono le indicazioni contenute nell’OIC24 o nello IAS38. Nel caso in cui, alla fine di ogni esercizio, il valore recuperabile del diritto risulti stabilmente inferiore al valore netto contabile (valore originario al netto degli ammortamenti calcolati fino a quel momento), sarà necessario riconciliare i dati attraverso il c.d. impairment test. L’ammortamento e la svalutazione rappresentano un costo imputato al conto economico, con un impatto negativo sul reddito (utile e/o perdita) e, quindi, sul patrimonio netto.
Secondo la decisione della Corte d’Appello della FIGC, l’impresa che trasferisce il diritto prima della scadenza del contratto può rilevare
- una plusvalenza se il prezzo di trasferimento è superiore al valore contabile netto, con un impatto positivo sul reddito del periodo (utile o perdita);
- una minusvalenza nel caso opposto, con un impatto negativo sul reddito dell’esercizio (utile o perdita);
- nessun effetto se i due importi sono uguali.
L’esecuzione di una transazione tra due società calcistiche che trasferiscono un giocatore a un valore non economicamente congruo o giustificato comporta una sovrastima del prezzo di scambio, con effetti diversi per le due parti contraenti:
- il club venditore otterrà una plusvalenza maggiore, con un miglioramento del reddito e del patrimonio netto;
- il club acquirente riconoscerà in bilancio un valore sovrastimato, con costi più elevati in futuro, ossia un maggiore negativo (minori profitti o maggiori perdite) nel corso della durata del contratto. I maggiori costi si riferiscono a un maggiore ammortamento e, se ne esistono le condizioni, all’eventuale successivo ammortamento del diritto una svalutazione successiva del diritto.
Quest’ultimo elemento è fondamentale perché, secondo i principi contabili, nello stato patrimoniale i singoli beni non possono essere iscritti per importi superiori al loro valore economico, che si riflette nel valore d’uso o valore di mercato. Pertanto, al di là di ogni considerazione sul prezzo, i sintomi che si verificheranno in futuro, ad esempio un giocatore senza prospettive o con un impiego ben al di sotto delle aspettative, dovrebbero portare a una svalutazione, per evitare di annacquare il capitale. La società che detiene il diritto di commercializzare il calciatore deve quindi valutare l’esistenza di indicatori (performance, contratto, popolarità…) che porterebbero a un minor valore dell’asset, cosa molto peculiare nell’ambito calcistico o sportivo in generale.
La mancata svalutazione del valore quando le condizioni sono soddisfatte porta a una sopravvalutazione delle attività e del patrimonio netto. In altre parole, “la sopravvalutazione del valore di un’attività porta alla capitalizzazione delle perdite“.
Un club può generalmente effettuare una transazione a valori non di mercato se riceve contemporaneamente un “beneficio“, che si manifesta tipicamente nelle transazioni incrociate o opposte, in cui lo stesso club vende e compra allo stesso tempo, essendo di primaria importanza la contestualità del momento temporale. Pertanto, le transazioni incrociate diventano rilevanti se generano plusvalenze per entrambe le parti. Due società possono avere un “interesse” economico a sopravvalutare i diritti di un calciatore se questo genera una plusvalenza che aumenta il reddito del periodo anche se penalizza i periodi successivi con maggiori ammortamenti: in questo caso specifico, secondo la FIGC, si ha un impatto positivo sul reddito alla data della transazione compensato da maggiori costi futuri. Di conseguenza, entrambe le società incrementano l’utile di periodo con maggiori costi futuri, con l’effetto di migliorare apparentemente la situazione finanziaria attuale.
La mancanza di un metodo di valutazione riconosciuto dalla decisione della Corte d’Appello della FIGC evidenzia quindi la fissazione discrezionale delle commissioni di trasferimento e la successiva registrazione nei libri contabili dei club. Di conseguenza, ciò renderebbe legittima qualsiasi plusvalenza, il che non può essere tollerato, nemmeno a livello sportivo-federale.
Il nodo della discussione è quindi il concetto di valore contenuto nella decisione della Corte d’Appello della FIGC e l’osservazione che non esiste un quadro normativo per controllare l’importo pagato dalle società per la compravendita dei diritti dei calciatori. Si auspicano quindi interventi regolatori per inquadrare la determinazione di queste spese di trasferimento, considerando che le transazioni in questione e i prezzi a cui vengono effettuate, influenzano in modo decisivo la qualità del bilancio di una società di calcio, quindi la correttezza dei tornei di calcio.
La proposta di una regolamentazione del valore dei giocatori in modo da disciplinare le plusvalenze dovrà essere ispirata alla razionalità economica e nei limiti della libertà di commercio anche in considerazione della coerenza tra i molteplici concetti di “valore” che si formano nelle complesse negoziazioni a cui fanno riferimento i giocatori e le squadre di calcio.
Questo articolo è un estratto dell’articolo che ho scritto con Maxeme Franceschi disponibile qui. Su un simile argomento, è possibile leggere l’articolo “Il modello di governance sportiva, il caso Superlega e le relative problematiche legali”.