Con un recente decisione, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul complesso tema dei marchi di forma, dovendo stabilire se il marchio a forma di “stella mozzata” apposto sulle sneakers di una rinomata Casa di Moda, noto per la peculiarità di essere una stella a cinque punte, tagliata in modo da eliminare la punta superiore e parte di quella inferiore destra, possedesse i requisiti necessari per definirsi tale.
La vicenda in esame ebbe inizio quando la menzionata Casa di Moda proponeva avanti al Tribunale di Milano un’azione di contraffazione avverso una società concorrente che poneva sulle proprie calzature un segno alquanto simile al marchio registrato dalla prima. Nella decisione di primo grado, il Tribunale di Milano accertava la contraffazione del marchio registrato dell’attrice, evidenziando in particolare l’identità dei segni apposti dalla società contraffattrice sulle proprie calzature con quelli rivendicati dalla Casa di Moda, nonché l’elevata somiglianza tra le caratteristiche dei prodotti in questione, con conseguente illecito effetto confusorio. Tale decisione veniva, poi, integralmente confermata dalla Corte d’Appello adita da parte soccombente.
Successivamente alla decisione della Corte di Appello, seguiva il ricorso in Cassazione della società condannata, in entrambi i giudizi di merito, per l’illecito contraffattorio.
Con la propria memoria, la ricorrente lamentava la violazione del principio secondo cui un marchio di forma è nullo quando “dà valore sostanziale al prodotto”. Come noto, infatti, l’articolo 9 del Codice della proprietà industriale esclude la “registrazione come marchio d’impresa dei segni costituiti esclusivamente: a) dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto; b) dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; c) dalla forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto”. Ovviamente, questo principio trova corrispondenza anche nella normativa europea e, in particolare, nell’art. 7, lett. e), del Regolamento EU 2017/1001.
Nel ricorso, la società contestava le conclusioni della Corte d’Appello che, sebbene avesse riconosciuto il valore estetico ed ornamentale della nota “stella mozzata” e quindi la sua capacità di aggiungere valore sostanziale ai prodotti su cui era apposta, aveva ritenuto non dimostrata la prevalenza del carattere ornamentale su quello distintivo.
Sul punto, la Corte di Cassazione richiamava anzitutto le argomentazioni della Corte d’Appello che aveva escluso “che si fosse in presenza di un marchio di forma (…) perché la stella mozzata non costituisce una qualità strutturale del prodotto da esso non scindibile ma è semplicemente un segno apposto sul prodotto, acquistato per il complesso delle qualità apprezzate dal pubblico”. Continuava affermando che “La Corte territoriale ha aggiunto che si era in presenza non già di un segno esclusivamente di forma che possa dare un valore sostanziale al prodotto, ma di un segno figurativo, che può essere apposto ed è apposto su altri prodotti merceologici della [nota Casa di Moda], e che individua una serie di caratteristiche qualitative del prodotto che lo rendono appetibile sul mercato; la figura, pertanto, apposta ha una capacità prevalentemente identificativa del prodotto pur conservando la sua originalità nella configurazione”.
Quindi, come ribadito dalla Corte di Cassazione, la pronuncia di secondo grado, nel recepire la decisione del Tribunale di Milano e dopo aver precisato che un marchio, per poter essere considerato nullo, dovesse avere ad oggetto un segno costituito esclusivamente dalla forma di un prodotto, accertava correttamente che il segno in questione svolgesse una funzione prevalentemente distintiva. Inoltre, il giudice di legittimità rilevava altresì come la ricorrente non avesse dimostrato che il marchio della “stella mozzata” fosse una forma o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto (scarpa) o necessaria per ottenere un risultato tecnico o che conferisse un valore sostanziale al prodotto (come previsto ai sensi dell’art. 9 c.p.i.), per poi riconoscere la non pertinenza delle argomentazioni della ricorrente circa la presenza di una componente estetico-ornamentale e circa il suo rapporto di prevalenza o meno rispetto alla componente distintiva del segno.
In aggiunta a quanto sopra, la società ricorrente contestava altresì che “La Corte avrebbe configurato la stella deformata come marchio forte, incorrendo in un errore di diritto nella distinzione tra marchio debole e forte, poiché si arriverebbe al paradosso che «una qualsiasi stella- che costituisce l’archetipo dei segni di uso comune privi di capacità distintiva» dovrebbe considerarsi ‘marchio forte'” e che “la qualificazione del marchio come forte consentirebbe di configurare contraffazione soltanto in caso di «appropriazione del nucleo centrale dell’ideativo messaggio individualizzante del marchio anteriore» e che, a proprio avviso, nel caso di specie suddetta contraffazione non era configurabile”.
Anche su questo punto, la Corte di Cassazione, richiamando integralmente quanto affermato della Corte d’Appello, evidenziava che “le pronunce dei giudici di legittimità avevano più volte chiarito che in caso di marchio forte (dall’origine o per vicende successive), la confondibilità si determina anche in presenza di consistenti varianti nel marchio successivamente registrato, ove vi sia appropriazione del nucleo centrale dell’ideativo messaggio individualizzante del marchio anteriore, con riproduzione od imitazione di esso nella parte atta ad orientare le scelte dei potenziali acquirenti; detto nucleo centrale, peraltro, non è identificabile nel mero riferimento a situazioni e contesti ricollegabili ad un determinato settore merceologico, ma riguarda quel quid pluris che connoti, all’interno di quel settore, una specifica offerta (Cass., n. 9769/2018). La Corte territoriale ha proceduto ad accertare che la somiglianza riguardasse il nucleo ideologico caratterizzante il messaggio, ha valutato la sussistenza o meno dell’affinità tra i prodotti e ha verificato la sussistenza o meno del rischio di associazione. Proprio in tale direzione ha precisato che anche per quelle calzature «in cui la punta superiore della stella non è tagliata ma supera la cucitura del portastringhe, le variazioni rispetto al marchio registrato non siano sufficienti ad escludere la confondibilità».E ciò ha fatto rimarcando che il concetto di confondibilità non coincide con quello di esatta riproduzione del marchio, ma con una valutazione di somiglianza tale che induca il consumatore a confondere i prodotti, essendo sufficiente a tal fine, che il pubblico interessato in concreto possa cogliere l’esistenza di un nesso, ossia di un grado di similarità, tra il marchio notorio e quello successivo (Cass., n. 27217/2021). In tema di marchi d’impresa, l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Cass., n. 1906/2010). Infine, va ricordato che un marchio, è forte solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento (Cass., n. 12368/2018)”.
Come si è visto, la Corte d’Appello ha dato ampia motivazione sulla circostanza che il marchio della nota Casa di Moda avesse una forte capacità distintiva del tutto disgiunta da una specifica relazione con le caratteristiche dei prodotti su cui è apposto (calzature), osservando, inoltre, che anche nei modelli di scarpe della società ricorrente che si discostavano dai corrispondenti modelli della Casa di Moda e in cui la punta superiore della stella non era tagliata, la confondibilità dei due segni sussisteva comunque per un particolare effetto visivo.
Per tutto quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione, confermando integralmente le motivazioni esposte dalla Corte di Appello, rigettava il ricorso presentato dalla società ricorrente.
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