L’evoluzione dell’AI nel mondo dell’arte sta inaugurando una trasformazione anche nel settore musicale, portando cambiamenti così radicali che, in futuro, potremmo quasi chiederci come fosse la musica prima dell’era dell’AI. Proprio come suggerisce il testo della canzone di Annalisa, “Il Mondo Prima di Te”.
Con la rubrica “Musica Legalissima” le professioniste e i professionisti del Dipartimento Intellectual Property and Technology di DLA Piper vi accompagnano durante il Festival di Sanremo 2024, esplorando le tendenze e i fenomeni più recenti del mondo della musica.
La trasformazione del settore musicale grazie all’AI: il domani è già qui?
Dall’avvento del diamofono di Cahill nel 1897, primo strumento elettronico della storia, il settore musicale ha vissuto una continua trasformazione, evolvendosi attraverso l’uso di sintetizzatori e sistemi elettronici di elaborazione del suono.
Oggi, l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione hanno spalancato le porte a un nuovo orizzonte di creatività musicale. Strumenti all’avanguardia, nati dall’avanzamento dell’AI, stanno ridefinendo le metodologie creative, promettendo di rivoluzionare il settore musicale. L’AI si adatta a un’ampia gamma di applicazioni, portando vantaggi tangibili ai vari attori del settore, dai compositori agli ascoltatori, dai produttori ai distributori. Casi d’uso dell’AI includono:
- Assistenza nella produzione musicale: l’AI funge da collaboratore creativo, analizzando enormi quantità di dati musicali per suggerire nuove armonie e melodie, arricchendo il processo compositivo.
- Ottimizzazione di mixaggio e mastering: nel mixaggio e mastering, l’AI migliora la qualità del suono, ad esempio bilanciando i livelli sonori, rendendo questi processi ripetitivi più efficienti e meno onerosi in termini di tempo e risorse.
- Generazione autonoma di musica: soluzioni di AI generativa avanzate hanno la capacità di comporre musica in modo autonomo, partendo a determinati input forniti dall’essere umano come l’indicazione di un genere, uno stile o specifici strumenti.
- Educazione musicale personalizzata: gli strumenti AI possono essere impiegati a supporto dei piani di apprendimento musicali su misura, adattandosi ai vari stili e livelli degli studenti e facilitando un percorso di apprendimento più interattivo e coinvolgente.
- Analisi delle tendenze di mercato: l’AI consente di analizzare enormi volumi di dati del settore, come l’andamento degli stream di una determinata traccia per fascia di età o mercato di riferimento, per prevedere le future tendenze musicali, fornendo agli artisti e ai produttori informazioni preziose per restare competitivi.
- Riconoscimento e raccomandazione di tracce: attraverso l’analisi di ampie basi dati come le playlist maggiormente ascoltate o le sequenze musicali più riprodotte, l’AI è in grado di identificare brani simili tra di loro e suggerire raccomandazioni personalizzate basate sui gusti e preferenze dell’ascoltatore.
Questi sono soltanto alcuni degli utilizzi possibili e in quest’epoca di trasformazione del settore musicale l’AI non è solo un aggiornamento tecnologico, ma un vero e proprio protagonista nella riscrittura delle regole della musica. Questo cambiamento porta con sé opportunità ma anche rischi, soprattutto legali, che richiedono una adeguata protezione dei diritti delle parti coinvolte, per garantire un costante e solido supporto alla creatività del genere umano.
AI e IP: tutta un’altra musica?
L’impatto dell’AI sulla tutela della proprietà intellettuale porta con sé sfide complesse e solleva importanti quesiti. Ciò, riguarda, ad esempio, i diritti degli utenti sull’output generato dai sistemi di AI e i diritti d’autore di terze parti sulle opere musicali sulle quali l’AI è addestrata.
Per quanto concerne il primo aspetto, le leggi attuali sul diritto d’autore sono costruite sul concetto di opera quale “lavoro intellettuale”, quindi frutto di un intelletto umano. Per questo, è importante distinguere tra opere realizzate principalmente dall’AI e quelle dove l’apporto umano è predominante, con l’AI utilizzata come mezzo per incanalare al meglio la creatività dell’utente, in un processo creativo più ampio e complesso.
Nel contesto giuridico europeo non c’è spazio per il primo caso: l’AI non può essere considerata autore di un’opera e, di conseguenza, non può detenere diritti d’autore. Viceversa, la tutela autoriale non viene negata nel secondo caso, cioè, alle opere frutto di un’interazione umana significativa.
Questa posizione è stata evidenziata dalla Corte di Cassazione con la pronuncia 1107 del 16 gennaio 2023, in un caso che ha visto protagonista proprio il Festival di Sanremo del 2016. In quella occasione, la Corte ha riconosciuto la tutela autoriale di un’opera grafica creata con l’ausilio di un software, ponendo l’accento su cosa debba intendersi per opera “creativa” e sottolineando l’importanza dell’originalità dell’idea e dell’ispirazione personale dell’autore.
Una tale conclusione è stata avallata anche oltreoceano, in un caso, però, dall’esito negativo per l’attore, Sig. Stephen Thaler, il quale chiedeva che venisse attribuita tutela autoriale ad un’opera interamente realizzata dall’algoritmo di AI da lui ideato, “Dabus”, e che a questo venisse attribuita la paternità dell’opera. La Corte del Distretto della Columbia ha negato una tale possibilità, ribadendo la necessità del coinvolgimento umano nella creazione di un’opera per ottenere la protezione prevista dal diritto d’autore.
Dunque, se e in quale misura un’opera ottenuta con l’assistenza dell’AI sia o meno tutelabile è una valutazione che dipende da un’analisi caso per caso, che tenga in considerazione il tipo e la misura dell’assistenza fornita dall’AI, ma soprattutto l’apporto dell’essere umano, per determinare se l’opera sia frutto della sua creatività individuale.
Peraltro, l’episodio statunitense assume particolare interesse perché l’AI in questione era stata ideata dallo stesso utente finale e non si trattava, come più spesso accade, di un “servizio” a cui accedono altri utenti (i quali, invece, si trovano a doversi confrontare con i limiti funzionali di una macchina che non possono controllare e con i termini e condizioni di un servizio a cui devono adeguarsi).
Il training e la violazione dei diritti di terzi: sinfonie in bilico tra innovazione e legge
Per quanto riguarda, invece, la violazione di diritti di terzi, il panorama si fa ancora più sfumato.
D’altronde, la creazione artistica, come affermava Pablo Picasso, è un processo dove “i buoni artisti copiano, i grandi artisti rubano”, suggerendo che ogni atto creativo trae ispirazione dal dialogo continuo con le opere che lo hanno preceduto.
Nell’era digitale, questo dialogo assume nuove forme: i sistemi di AI imparano e si evolvono attraverso training basati sull’assorbimento di vasti archivi di dati, grazie ai quali apprendono pattern, stili e strutture al fine di generare nuovi contenuti. La scelta dei dati del training si rivela determinante poiché influenza direttamente le opere generate. Pertanto, ci si chiede fino a che punto l’AI possa “ispirarsi” alle opere esistenti senza violare i diritti degli artisti originali.
Alcuni casi concreti di questa problematica hanno visto protagoniste etichette a case di produzione che in passato hanno sollecitato i servizi di streaming come Spotify a bloccare la musica generata da sistemi AI, accusando questi ultimi di utilizzare la musica dei loro artisti per addestrare i propri algoritmi. Spotify ha reagito rimuovendo il 7% della musica generata da AI dalla sua piattaforma, equivalente a decine di migliaia di brani. Un ulteriore caso, invece, ha visto il coinvolgimento del DJ David Guetta, il quale ha utilizzato soluzioni di AI per inserire in una sua canzone una traccia vocale generata artificialmente che ricreava la voce del rapper Eminem, artista le cui opere sono licenziate e gestite da una major. Il DJ ha suonato la traccia live durante una esibizione, ma non ha poi pubblicato il brano.
Attualmente, anche a causa dei parametri legislativi incerti fino ad oggi, il dibattito sull’uso di opere protette da diritto d’autore nei training è polarizzato. Da un lato, le compagnie di AI sostengono che l’addestramento dei loro modelli con tali opere sia legittimo. Dall’altro, gli autori delle opere protette vedono questo utilizzo come plagio o concorrenza sleale, equiparando gli output così realizzati a opere derivate.
Nei paesi di Common Law, i sostenitori dell’AI invocano il concetto di “fair use”, una dottrina giuridica che permette l’utilizzo non autorizzato di opere protette da copyright a certe condizioni, basandosi su fattori come scopo e carattere dell’utilizzo, natura dell’opera, quantità utilizzata, e impatto sul mercato dell’opera originale.
A differenza degli Stati Uniti, dove il concetto di “fair use” offre un’ampia flessibilità, in Europa non si trova un principio paragonabile. Per quanto riguarda l’Italia, la dottrina è concorde nel ritenere che l’utilizzo da parte di sistemi di AI di materiale e contenuti tutelati dal diritto d’autore rientri negli atti di riproduzione di cui all’art. 13 della Legge 22 aprile 1941, n. 633 (Legge sul diritto d’autore). Tale attività, quindi, richiederebbe il consenso dell’autore. Di conseguenza, in assenza di normative specifiche sul training dei sistemi di AI con tali materiali, la prassi migliore sembra essere la richiesta di una licenza specifica, ottenendo così l’autorizzazione preventiva dell’autore.
I professionisti del settore musicale sono divisi tra l’entusiasmo per le potenzialità dell’AI e la preoccupazione per le incertezze legali. Ci si interroga, ad esempio, su come il diritto dell’UE, attraverso strumenti come l’AI Act, possa affrontare e mitigare i rischi che emergono.
AI ACT in arrivo: il crescendo che porta al drop
La recente approvazione dal Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) dell’AI Act segna un passo importante nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Questa legislazione è considerata un punto di riferimento globale. Essa introduce principi chiave di trasparenza per gli sviluppatori di AI, con un impatto significativo nel campo della musica, soprattutto per i sistemi di AI generativa.
L’AI Act mira a stabilire regole armonizzate per l’AI, garantendo sicurezza, rispetto dei diritti fondamentali e adesione ai valori dell’UE. Tra i suoi elementi chiave, include norme per i modelli di AI general-purpose ad alto impatto, un sistema di governance riveduto, divieti ampliati e una maggiore protezione dei diritti diritti fondamentali.
Organizzazioni come l’IFPI, che rappresenta gli interessi dell’industria discografica a livello mondiale, hanno accolto favorevolmente l’accordo, sottolineando la necessità di un regime di trasparenza chiaro. Questo aspetto è cruciale per la musica, in quanto la formazione di sistemi AI generativi su opere protette da copyright potrebbe impattare la creatività degli artisti.
In questo senso l’AI Act stabilisce requisiti fondamentali per i fornitori di modelli di AI general-purpose operanti nel mercato dell’Unione Europea. Ad esempio, viene previsto l’obbligo di redigere e rendere pubblicamente disponibile un riassunto sufficientemente dettagliato dei contenuti usati per l’addestramento del modello. Inoltre, l’AI Act mira a garantire che i modelli di AI rispettino i diritti di copyright e i diritti connessi, indipendentemente dal paese di origine dei dati utilizzati per l’addestramento. Questo assicura che, anche se il modello di AI viene sviluppato fuori dall’UE, quando viene immesso nel mercato dell’Unione, deve conformarsi alle normative autoriali europee. Infine, i fornitori di modelli general purpose sono tenuti a implementare una policy specifica che dettagli come intendono rispettare le leggi dell’UE sul copyright.
Conclusioni: non conta solo lo strumento, ma soprattutto chi lo suona
Quale epilogo di questa analisi, abbiamo raccolto la testimonianza di un insider che si occupa di musica, dalla classica all’elettronica, quotidianamente: Enrique Gonzalez Müller, Associate Professor nel dipartimento di Music Production and Engineering presso il Berklee College of Music.
Secondo il Professore Gonzalez Müller, l’AI può essere sia una minaccia creativa che una grande opportunità nel campo musicale, ma in ogni caso avrà un impatto rilevante. I rischi emergono quando l’AI è impiegata in modo eccessivo o inappropriato, rischiando di alterare l’essenza dell’arte. Mentre in attività come il mixing, in cui occorre gestire complessi arrangiamenti e qualità sonore variegate, l’AI può semplificare il lavoro divenendo un valido aiuto, pur senza sostituire il fondamentale contributo creativo umano.
Pertanto, conclude il Professore, il grande vantaggio dell’utilizzo dell’AI nel campo musicale sta nel liberare l’artista da quelle attività ripetitive e meccaniche, restituendogli tempo aggiuntivo per esplorare e stimolare la propria creatività. In ogni caso – il rischio principale sta nel lasciarsi impaurire dalle novità, rinunciando a percorrere sentieri innovativi.
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Autori: Miriam Romeo e Tommaso Ricci