Il 23 aprile scorso, il Parlamento italiano ha approvato un’importante modifica del Codice Privacy, che consente di condurre studi retrospettivi senza la necessità di un’autorizzazione preventiva da parte del Garante per la protezione dei dati personali.
La modifica riguarda l’art. 110 del Codice Privacy – rubricato “Ricerca medica, biomedica ed epidemiologica” – e prevede l’eliminazione dell’obbligo di sottoporre il programma di ricerca alla preventiva consultazione e approvazione del Garante, obbligo previsto per i casi in cui si intendeva trattare i dati sullo stato di salute per fini di ricerca scientifica e non fosse possibile ottenere il consenso degli interessati.
Sin qui il Legislatore italiano ha adottato un approccio consenso-centrico per legittimare il trattamento di dati sanitari per finalità di ricerca scientifica, indicando il consenso quale base giuridica necessaria, salvo i casi in cui:
- la ricerca veniva effettuata sulla base di specifiche previsioni normative; o
- informare gli interessati risultasse “impossibile” o implicasse “uno sforzo sproporzionato” o rischiasse di “rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento delle finalità della ricerca” (cfr. art. 110, comma 1, secondo periodo, del Codice Privacy).
In questo secondo caso, il titolare del trattamento poteva sottrarsi all’obbligo di informare gli interessati del trattamento e raccoglierne il consenso solo se sottoponeva il programma di ricerca all’approvazione preventiva del Garante – a norma dell’art. 36 del GDPR – oltre a dover ottenere parere favorevole del comitato etico a livello territoriale e adottare “misure appropriate per tutelare i diritti, le libertà e i legittimi interessi dell’interessato”.
La necessità di ottenere il preventivo parere del Garante rappresentava un ostacolo significativo all’attività di ricerca scientifica, in particolare per gli studi retrospettivi, che misurano eventi accaduti in un periodo precedente rispetto al disegno dello studio e si basano su dati già raccolti prima che lo studio iniziasse (tipicamente nell’ambito della normale pratica clinica). Nell’ambito di tali studi si verifica spesso la necessità di analizzare (anche) informazioni relative a persone decedute o non più rintracciabili, rispetto alle quali risulta impossibile raccogliere il consenso.
Secondo l’art. 36 del GDPR, il Garante avrebbe dovuto fornire il proprio parere sulla conformità dello studio al GDPR entro 8 settimane dal ricevimento della richiesta di consultazione, prorogabili di ulteriori 6 settimane, in caso di trattamenti particolarmente complessi. Di fatto però difficilmente l’Autorità era in grado di rispettare il ristretto termine indicato nell’art. 36.
La necessità di attendere che il Garante si pronunciasse allungava i tempi della ricerca e potrebbe renderla eccessivamente costosa, scoraggiando gli sponsor alla conduzione dello studio. Ci è capitato di assistere società farmaceutiche multinazionali che hanno rinunciato a svolgere studi retrospettivi in Italia proprio per via del requisito della preventiva consultazione del Garante, prediligendo Paesi europei nei quali non esiste un simile requisito ed è possibile condurre l’attività di ricerca prescindendo dal consenso dei pazienti. Tali problemi sono oggi superati grazie alla modifica approvata dal Parlamento.
Accogliamo dunque con favore l’intento del Legislatore di semplificare gli adempimenti previsti dalla legislazione nazionale, eliminando ostacoli normativi che non apparivano neppure coerenti con il generale favor per la ricerca scientifica di cui è permeato il GDPR, che infatti include una presunzione di compatibilità dell’attività scientifica con ulteriori e diverse finalità del trattamento.
Il Parlamento ha appena compiuto un passo importante verso un ambiente più favorevole alla ricerca scientifica retrospettiva, eliminando un requisito di legge sulla protezione dei dati che rappresentava una peculiarità onerosa della normativa italiana sulla protezione dei dati.
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