La Cassazione si pronuncia sui criteri di liquidazione da applicare nella quantificazione del danno per violazione di brevetto.
Con una recente ordinanza, n. 5666 del 2 marzo 2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui i criteri da applicare in sede di liquidazione del danno per violazione di brevetto ex art. 125 c.p.i..
Nel caso di specie la società attrice, attiva nel settore delle macchine ed attrezzature per pulizia e raccolta di liquami e rifiuti urbani liquidi e nella produzione di camion-cisterna attrezzati per l’espurgo di pozzi neri, conveniva nel 2005 una società concorrente per sentire accertare la contraffazione della porzione italiana di un brevetto europeo, relativo ad un “attrezzo che consentiva al braccio guidatubo del tubo aspiratore di muoversi dall’alto in basso, così da evitare di generare curve troppo strette e di danneggiarsi nella fase di riavvolgimento“, asseritamente posta in essere attraverso la fabbricazione e la commercializzazione da parte della convenuta, senza alcuna licenza, di un camion che installava un dispositivo avvolgitubo sulla sommità del veicolo. La convenuta presentava domanda riconvenzionale di nullità della porzione italiana del suddetto brevetto, nonché eccepiva la nullità del brevetto oggetto di lite per carenza di novità, pre-divulgazione e carenza di altezza inventiva.
Il Tribunale di Torino, in primo grado, accoglieva nel 2013 la domanda attorea ordinando alla convenuta, tra l’altro, di risarcire all’attrice il danno per l’accertata contraffazione, liquidato in quasi 600.000 euro, secondo il criterio residuale dell’equa royalty presunta (per tecnologie simili, non avendo l’attrice allegato contratti di licenza), previsto dall’art. 125, comma 2, c.p.i.. La decisione d’appello, intervenuta nel 2015, accoglieva solamente in parte le richieste attoree, riconoscendo l’altezza inventiva dell’invenzione della convenuta, costituendo questa una “valida invenzione “di combinazione”, tramite una serie di interventi che implicavano attività non evidenti allo stato della tecnica per l’esperto del ramo“, e riconosceva che la contraffazione era avvenuta attraverso la commercializzazione di solamente tre esemplari di macchinario contestato, a fronte dei 184 esemplari asseriti dall’attrice.
Inoltre, la Corte d’Appello affermava che il criterio di liquidazione del danno c.d. del lucro cessante reale – indicato dall’attrice come alternativo a quello della giusta royalty essendo, ad avviso dell’attrice, quello della giusta royalty un criterio solamente minimale di risarcimento – non poteva essere applicato, non avendo l’attrice mai dimostrato di avere subito concretamente un lucro cessante da calo delle vendite nella misura invocata, al di là comprovata messa in commercio da parte della convenuta di tre esemplari del camion contestato, nonché in difetto di indicazione da parte dell’attrice della royalty usualmente applicata ai propri brevetti in caso di concessione. Pertanto, la Corte d’Appello concludeva che era corretto il criterio della royalty presunta, da applicarsi sul ricavo unitario della convenuta per la vendita di ciascun esemplare, senza tener conto di ulteriori costi incrementali, in mancanza di relativa prova certa da parte dell’attrice, riducendo significativamente il risarcimento complessivo.
La Suprema Corte, investita della questione, stabiliva il principio di diritto secondo il quale, in tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito invocando il criterio costituito dal margine di utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, realizzato dal contraffattore, di cui all’art. 125 c.p.i., alla luce del quale il danno “va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale“. La Cassazione specificava inoltre, sul punto, che “in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore dei risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale“.
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