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il Tribunale dell’Unione europea ha definito nuovi limiti nel confronto tra un marchio denominativo e un marchio figurativo.

In occasione della recente sentenza T-463/20, il Tribunale dell’Unione europea ha respinto il ricorso di una nota azienda attiva nel settore dei videogiochi e dell’elettronica di consumo avverso la domanda di registrazione di un marchio denominativo europeo.

Nello specifico, nel 2017 il richiedente presentava opposizione ai sensi degli articoli 8(1)(b), 8(4) e 8(5) del Regolamento (UE) 2017/1001 sul marchio dell’Unione europea (RMUE) avverso la domanda di registrazione di marchio denominativo europeo per i prodotti della classe 18. L’opposizione veniva proposta a tutela, tra gli altri, di un marchio figurativo europeo per i prodotti delle classi 9, 16 e 28. Ottenuto un rifiuto dalla divisione, il richiedente procedeva dinanzi alla Quarta Commissione di ricorso che riconosceva non solo il carattere distintivo del marchio della ricorrente ma anche una chiara distanza sia fonetica che concettuale tra i due segni. Dunque, non essendo riconosciuto alcuni tipo di somiglianza tra gli stessi, la commissione non approfondiva né le questioni relative al carattere distintivo accresciuto né alla notorietà del marchio che la ricorrente aveva proposto e concludeva confermando la precedente decisione.

Il richiedente procedeva dunque dinanzi il Tribunale dell’Unione europea, che interveniva riconoscendo la natura di beni di consumo quotidiano per le merci in esame, per il cui acquisto non venivano giudicate necessarie né conoscenze né abilità particolari. Il Tribunale confermava altresì l’assenza di un rischio di confusione tra i segni dal punto di vista grafico, in ragione del fatto che gli elementi verbali del marchio denominativo ritenuto confliggente – nello specifico due lettere -, presenti anche in uno dei marchi figurativi della ricorrente, venivano riproposti in quest’ultimo in maniera così stilizzata da non rendere possibile né il loro riconoscimento come tali né alcun tipo di confronto da parte del pubblico di riferimento che, al contrario, avrebbe dovuto compiere sforzi significativi per giungere ad un confronto fonetico come anche concettuale. Si conveniva che il consumatore potrebbe percepire tale segno come una forma astratta e unitaria piuttosto che come lettere maiuscole. Da ultimo, stabilita anche la differenza fonetica e l’impossibilità di rintracciare un concetto semantico comune, il Tribunale confermava la decisione della commissione e rigettava il ricorso interamente, non avendo ricevuto neanche la prova di notorietà del marchio, elemento necessario per azionare l’articolo 8(5) RMUE.

La sentenza è rilevante perché suggerisce che nel confronto tra un marchio figurativo e un marchio denominativo con elementi verbali in comune, ai fini del carattere distintivo è richiesta un’elevata stilizzazione e dunque una particolare rappresentazione grafica, tale da non rendere gli elementi verbali riconoscibili al pubblico di riferimento. Ciò è vero soprattutto quando ad essere condivisa è un’importante sequenza di elementi verbali. La presenza di elementi figurativi molto decorativi in aggiunta agli elementi verbali è dunque fondamentale per escludere il rischio di confusione, essendo in grado di ridurre la visibilità degli elementi verbali stessi. Ovviamente, la valutazione in questi termini della rappresentazione grafica si aggiunge all’esame degli elementi che normalmente vengono esaminati, quali ad esempio la natura dei prodotti/servizi coinvolti, il mercato di riferimento, uso.

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