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Analizziamo l’impatto degli NFT nel settore dell’arte e come affrontarne le problematiche legali e sfruttarne il potenziale di mercato.

Abbiamo già discusso in un precedente articolo di cosa sono gli NFT che hanno raggiunto notevole rinomanza nel mondo dell’arte. Infatti, nell’ultimo anno, la cosiddetta “cryptoart” (o criptoarte) – ossia le opere d’arte digitali vendute attraverso gli NFT – è diventata un vero e proprio hype, raggiungendo uno dei suoi picchi lo scorso marzo, con l’asta di Christie’s dell’opera “Everydays: the first 5000 days” di Beeple, un collage composto da 5.000 immagini, venduto per 69,3 milioni di dollari.

Sebbene gli NFT abbiano il potenziale per essere una tecnologia dirompente, non è ancora chiaro se rivoluzioneranno davvero il mondo dell’arte o se si tratterà di una moda temporanea. In ogni caso, nell’approcciarsi a tale tecnologia, è importante che investitori, collezionisti e artisti tengano ben presenti alcune problematiche legali.

Innanzitutto, è fondamentale osservare che gli NFT forniscono informazioni affidabili esclusivamente rispetto a ciò che si trova sulla blockchain, ma nulla dicono sull’autenticità del bene sottostante. In altri termini, l’NFT non “certifica” che il bene ad esso corrispondente sia un originale, né che l’emittente del token sia effettivamente il titolare dei relativi diritti di proprietà intellettuale.

Questa problematica, in effetti, è già emersa in un recente caso, dove la vendita online, attraverso la piattaforma OpenSea, del disegno di Jean-Michel Basquiat “Free Comb with Pagoda” insieme ad un NFT ad esso associato, è stata dapprima annunciata e poi cancellata, a causa dell’opposizione dell’Estate dell’artista. L’annuncio di vendita non solo garantiva l’autenticità dell’opera fisica (e dunque anche del token), ma affermava anche che chiunque avesse acquistato l’NFT avrebbe avuto addirittura il diritto di distruggere l’opera fisica ad esso associata. Tuttavia, la fondazione dell’artista ha annunciato che il proprietario del disegno, che aveva creato l’NFT, in realtà non era titolare dei diritti di sfruttamento dell’opera e, conseguentemente, non aveva alcun diritto di tokenizzare e mettere all’asta né il disegno né il relativo NFT.

Ciò deriva dal fatto che i diritti di sfruttamento delle opere d’arte non vengono trasferiti automaticamente all’acquirente al momento dell’acquisto. In Italia, ad esempio, l’art. 109 della legge sul diritto d’autore stabilisce chiaramente che i diritti di sfruttamento, che comprendono la riproduzione dell’opera, cioè la moltiplicazione di tutta o parte dell’opera in copie, appartengono esclusivamente all’autore e non vengono trasferiti con la vendita dell’opera, salvo diverso accordo scritto.

Questa regola si applica, naturalmente, anche agli NFT, con l’effetto che (i) gli unici soggetti autorizzati a cedere come token una determinata opera fisica sono i titolari dei relativi diritti di sfruttamento, cioè l’artista, il suo Estate, o il proprietario dell’opera (purché detti diritti gli siano stati espressamente ceduti); e (ii) quando si acquista un NFT è importante essere consapevoli che la proprietà del token non si traduce nella titolarità dei diritti di sfruttamento dell’opera originale sottostante.

Un’altra caratteristica della tecnologia NFT è che permette di stabilire condizioni per la rivendita di opere d’arte sul mercato secondario. Infatti, gli NFT possono essere venduti per mezzo di smart contracts, dove gli artisti possono inserire una royalty di rivendita predeterminata che viene automaticamente applicata ad ogni successiva rivendita del bene sul mercato secondario.

In questo modo, anche gli artisti americani – che normalmente non hanno diritto al cosiddetto droit de suit, in quanto non è regolato dalla legge statunitense sul diritto d’autore – possono goderne. In Europa, ciò non è una novità, posto che il droit de suite è stato introdotto dalla Direttiva 2001/84/CE, per cui gli artisti sono normalmente tenuti a ricevere una percentuale del prezzo di rivendita ottenuto sul mercato secondario attraverso le vendite gestite da professionisti, come case d’asta, gallerie, ecc. Tuttavia, sebbene gli smart contract siano transnazionali, molti di essi sono strutturati in relazione ad una specifica piattaforma, con l’effetto che verranno conteggiate solo le royalties relative a rivendite avvenute sulla stessa piattaforma in cui è stato venduto l’NFT originale.

Per ulteriori informazioni in merito all’argomento, potete far riferimento a valentina.mazza@dlapiper.com e lara.mastrangelo@dlapiper.com

Nelle prossime settimane i professionisti dello studio legale DLA Piper continueranno a pubblicare la serie di articoli sulle problematiche legali degli NFT che copriranno arte, musica e altre aree di interesse. In tale contesto, non perdevi l’articolo “Che cosa sono gli NFT: bolla speculativa o prossima rivoluzione digitale?”.

Autrici: Valentina Mazza e Lara Mastrangelo

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