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L’accelerazione della digitalizzazione nel settore della moda ha fatto sorgere delle nuove problematiche privacy che prima non erano considerate così di rilievo.

Non è una novità che l’avvento della pandemia abbia radicalmente cambiato le nostre vite, incidendo sulle nostre abitudini, anche quotidiane, di acquisto. La temporanea chiusura dei negozi fisici durante il lockdown prima, e le stringenti misure di prevenzione adottate dai governi poi, hanno portato i consumatori a preferire esperienze di acquisto online.  Stiamo infatti assistendo a un vero e proprio boom dell’e-commerce: la presenza nei canali digitali è diventato oggi un elemento imprescindibile per qualsiasi azienda, operante anche – e soprattutto – nel settore della moda.

Recenti stime dell’Osservatorio e-commerce B2C di Polimi e Netcomm dimostrano infatti come nel 2020 vi sia stato un significativo aumento del mercato e-commerce dell’abbigliamento, registrando un significativo +22%. Dati che hanno subito una forte spinta anche a seguito della pandemia, che ha avvicinato gli utenti digitali agli e-commerce. Infatti, dallo scoppio della pandemia ad oggi, i brand della moda stanno investendo sempre più nella cosiddetta digital transformation al fine di offrire ai propri clienti prodotti e servizi innovativi, in grado di gestire efficacemente una relazione a distanza con il cliente. Non solo, le case di moda stanno reinventando i propri siti e canali e-commerce proprio per consentire ai clienti di approfittare di rinnovate esperienze di acquisto: assistenti di vendita virtuali, servizi di e-concierge e chatbot, infatti, interagiscono con i clienti per aiutarli a scegliere e provare – anche da casa – i loro outfit preferiti.

In particolar modo, come affermato dall’Osservatorio di Polimi e Netcomm, i fattori che hanno reso possibile queste percentuali sono principalmente da rinvenirsi nelle significative opportunità di risparmio rispetto ad un negozio di abbigliamento fisico, e la gestione semplificata e gratuita dei resi nonché nei tempi di consegna notevolmente ridotti. A tal proposito, i brand della moda devono prestare attenzione alla normativa a protezione dei diritti dei consumatori che prevede, tra gli altri, specifici obblighi informativi (rispetto, ad esempio, all’adozione di termini e condizioni di vendita che devono includere previsioni sulle spedizioni e le modalità di reso), nonché garanzie per i prodotti difettosi o la possibilità per il consumatore di esercitare il proprio diritto di ripensamento.

Ad ogni modo, il connubio tra il mondo fashion e la digitalizzazione, che, da un lato potrebbe far storcere il naso a chi li ritiene essere mondi antitetici, rappresenta un legame che, attraverso la profilazione degli utenti digitali, può contribuire ad analisi di dati sempre più puntuali ed efficaci, influenzando di conseguenza le logiche del mercato. Nel campo della moda, infatti, è importante riuscire a capire attraverso i dati forniti dagli utenti quali sono i capi di abbigliamento più in voga, e predire le nuove tendenze. Il carburante della fashion industry potrebbe proprio rinvenirsi nell’utilizzo dei Big Data attraverso la raccolta e l’analisi di queste informazioni: l’industria fashion, infatti, dipende fortemente dalle tendenze che sono rapidamente mutevoli.

Precedentemente al boom degli e-commerce, l’individuazione delle tendenze veniva affidata alle analisi dei dati delle vendite degli anni precedenti che influenzavano i retailer e i brand nella scelta di nuovi stili e trend. Questo processo, nonostante portasse a individuare in modo piuttosto puntuale le nuove tendenze, rischiava in ogni caso di non riflettere in maniera efficace ciò che di fatto i clienti si aspettavano dall’anno successivo. In un tale sistema, oggi invece assumono un ruolo fondamentale i dati relativi ai clienti e utenti raccolti, dai brand della moda, dall’utilizzo che i propri clienti e utenti fanno degli e-store, delle app e dei social network. Infatti, dai dati raccolti – anche per il tramite di sistemi di intelligenza artificiale – le aziende di moda sono in grado di profilare i propri clienti, i loro interessi e gusti al fine di proporgli un servizio personalizzato. L’analisi dei Big Data, inoltre, permette l’accorciamento di questo processo e una previsione dei futuri trend ancora prima che questi esplodano fornendo informazioni che derivano sia dalle quantità di prodotti acquistate all’interno dell’e-commerce, nonché dalle ricerche fatte online dagli utenti. In questo modo, è più semplice individuare gli stili, colori o tessuti per cui l’interesse del pubblico si concentra, ed è anche più facile soddisfare la richiesta dei consumatori in tempi più brevi. Inoltre, capire attraverso l’analisi dei Big Data quali sono esattamente gli interessi dei consumatori, e di conseguenza offrire un’esperienza sempre più personalizzata, permette ai brand di massimizzare le vendite e allo stesso tempo di abbassare il tasso dei resi.

Tuttavia, la profilazione degli utenti digitali attraverso l’analisi dei Big Data con l’utilizzo di algoritmi è considerato trattamento di dati personali a tutti gli effetti e, proprio per tale ragione, i brand della moda devono tenere conto degli obblighi e dei principi previsti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali.

A tal proposito, infatti, il Regolamento Privacy UE 2016/679 (il “GDPR”) prevede che le aziende che intendono utilizzare dati personali, come le imprese del mondo della moda che affrontano un processo di digitalizzazione, devono raccogliere esclusivamente i dati strettamente necessari a raggiungere i propri scopi e trattarli solo fintantoché siano effettivamente utili, nel rispetto del principio di minimizzazione di cui all’art. 5 del GDPR. Non solo, per poter lecitamente raccogliere e trattare i dati personali le case di moda sono tenute ad individuare la corretta base giuridica che – per profilazioni di questo tipo – si deve rinvenire nel consenso dell’interessato che deve essere libero, specifico, informato e inequivocabile.

Il GDPR prevede, inoltre, specifici obblighi informativi e di trasparenza: l’art. 13 GDPR richiede infatti che il titolare del trattamento fornisca alcune informazioni sul trattamento effettuato, sulle sue finalità e modalità, nonché sull’esistenza di una decisione automatizzata, compresa la profilazione, e sulla logica alla base dell’adozione di queste procedure automatizzate e delle conseguenze che possono derivarne per gli interessati. Non solo, ai sensi dell’art. 22 del GDPR, l’interessato ha, inoltre, il diritto a non essere sottoposto a decisioni basate unicamente su trattamenti automatizzati, compresa la profilazione, quando questi producano effetti giuridici che lo riguardano o che incidono analogamente in modo significativo sulla sua persona. Da ultimo, fondamentale è anche l’esecuzione di una Data Protection Impact Assessment ai sensi dell’art. 35 del GDPR, in quanto questa tipologia di trattamento potrebbe risultare invasiva, comportando un rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati.

Tuttavia, nonostante gli innumerevoli obblighi privacy a cui i brand della moda devono attenersi per operare online, la digitalizzazione ora è fashion e rappresenta il nuovo trend a cui tutti i grandi della moda cercano di conformarsi.

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