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La normativa sulla copia privata e la disciplina sull’equo compenso è applicabile anche al cloud storage secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Nella recente sentenza nella causa C-433/20 (“Austro-Mechana”) la Corte di Giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) si è pronunciata sull’eccezione c.d. per “copia privata” prevista dalla normativa sul diritto d’autore, stabilendo che tale eccezione si applichi anche alla memorizzazione nel cloud di una copia di un’opera protetta realizzata per fini privati.

I titolari dei diritti sono quindi legittimati a ricevere un equo compenso (“private copyright levies”), come previsto dalla normativa, che però non deve essere necessariamente corrisposto dai fornitori del servizio cloud.

La copia privata è un’eccezione al diritto d’autore e consente di riprodurre su qualsiasi supporto opere dell’ingegno per usi privati e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali, a condizione che i titolari dei diritti sull’opera riprodotta ricevano un equo compenso che tenga conto della eventuale applicazione di misure tecnologiche di protezione all’opera.

Il ricorso origina dalla controversia instaurata da Austro-Mechana, società austriaca di gestione collettiva dei diritti d’autore che si occupa della riscossione dei compensi in forza dell’eccezione per copia privata, la quale ha richiesto il pagamento di tale compenso ad un fornitore di servizi di memorizzazione del cloud. La domanda di Austro-Mechana è stata rigettata dal Tribunale austriaco di primo grado e, successivamente, in sede di appello, il Tribunale Superiore del Land di Vienna ha presentato ricorso alla CGUE, per chiarire se la memorizzazione di contenuti in ambito di servizi cloud rientri nell’eccezione per copia privata di cui all’art. 5, paragrafo 2, lettera b, della Direttiva 2001/29/CE (“Direttiva Infosoc”).

La Corte ha dichiarato che l’eccezione per copia privata disciplinata dalla Direttiva Infosoc deve essere interpretata “nel senso che l’espressione “riproduzioni su qualsiasi supporto”, comprende la realizzazione, a fini privati, di copie di salvataggio di opere protette dal diritto d’autore su un server nel quale il fornitore di un servizio di nuvola informatica ha messo a disposizione di un utente uno spazio di memorizzazione”.

La copia salvata nel cloud costituisce quindi una riproduzione di un’opera protetta, poiché il caricamento nel cloud consiste nella memorizzazione di una copia della stessa. È dunque possibile ricomprendere il server cloud nella categoria “qualsiasi supporto” a cui l’eccezione di copia privata si applica, risultando peraltro irrilevante il fatto che il server appartiene ad un terzo.

Tale interpretazione estensiva e “future proof” dell’espressione “qualsiasi supporto” è dettata dalla necessità di garantire il rispetto degli obiettivi posti dalla Direttiva Infosoc, che ha lo scopo di mantenere la tutela del diritto d’autore europeo al passo con l’evoluzione tecnologica.

In merito all’assoggettamento del fornitore di servizi cloud al pagamento dell’equo compenso previsto dalla normativa, la Corte ha sancito che rientra nella discrezionalità degli Stati Membri che attuano l’eccezione di copia privata determinare gli elementi del sistema dell’equo compenso destinato a indennizzare i titolari dei diritti d’autore, rimanendo quindi liberi di determinare le persone che devono versare tale compenso nonché fissare la forma, le modalità e il livello di quest’ultimo.

Sebbene finanziare il compenso spetterebbe generalmente al soggetto che effettua la copia privata (ossia l’utente dei servizi di memorizzazione dell’ambito del cloud), la Corte ha dichiarato che, in caso di difficoltà pratiche per individuare gli utenti finali, gli Stati Membri possono comunque prevedere che il prelievo per copia privata sia posto a carico del produttore o importare dei server, tramite cui i servizi cloud sono offerti ai privati.  Il prelievo ricadrebbe economicamente sul soggetto che acquista tali server e, di conseguenza, verrebbe traslato sull’utente privato che utilizza tali apparecchiature o a cui è fornito un servizio di riproduzione.

La CGUE ha infine previsto che in sede di determinazione del prelievo per copia privata, gli Stati Membri possono tenere conto del fatto che alcuni dispositivi e supporti possono essere utilizzati per realizzare copie private in uno spazio di memorizzazione cloud. In ogni caso, il prelievo versato, se riscosso su più dispositivi e supporti per un contributo unico, non superi il danno potenziale subito dai titolari dei diritti.

In conclusione, non vi è alcuno ostacolo all’introduzione di una normativa nazionale che non assoggetti i fornitori di servizi di memorizzazione nel cloud al pagamento di un equo compenso, purché tale equo compenso sia versato con altre modalità.

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