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Con un’ordinanza del 14 aprile 2022, il Tribunale di Firenze ha affrontato il tema della pubblicità tramite la riproduzione dei beni culturali e, più in particolare della statua del David di Michelangelo, per scopi di natura commerciale.

La pubblicità tramite la riproduzione dei beni culturali: gli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali

Prima di analizzare la decisione del Tribunale di Firenze, occorre fornire una breve panoramica della disciplina nazionale in materia di beni culturali, prevista dal Codice dei beni culturali.

L’attuale definizione giuridica di bene culturale è contenuta all’articolo 2 del Codice dei beni culturali, secondo cui: “sono definiti come beni culturali le cose immobili o mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”. A loro volta, gli articoli 10 e 11 del Codice dei beni culturali considerano beni culturali le categorie di cose, mobili e immobili, pubbliche o private, in essi elencate. Per individuare i casi in cui un’opera presenta il suddetto interesse, ai sensi dell’articolo 12 del Codice dei beni culturali, è necessario effettuare una verifica di interesse culturale che riguarda i beni “che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni”.

In generale, per poter effettuare riproduzioni di opere rientranti tra i beni culturali, sarà necessario rivolgersi al Ministero dei Beni Culturali e del Turismo (di seguito, brevemente, “MiBACT”) o alle singole soprintendenze disseminate sul territorio nazionale, per comprendere come utilizzare le immagini per fini che esulano dal mero sfruttamento personale.

Più nel dettaglio, in base all’articolo 107 del Codice dei beni culturali, le riproduzioni dei beni appartenenti al patrimonio culturale devono avvenire dietro autorizzazione dell’amministrazione avente il bene in consegna e, qualora siano fatte per contatto tramite calchi, con modalità tali da non danneggiare gli originali.

All’articolo 108 del Codice dei beni culturali, invece, sono stabiliti i criteri per fissare i canoni di concessione e i corrispettivi dovuti per la riproduzione di un bene culturale. L’ammontare dei canoni di concessione e dei corrispettivi connessi alle riproduzioni dei beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni oggetto di riproduzione tenendo anche conto dei criteri indicati al comma 1 dell’articolo 108 del Codice dei beni culturali, ovvero: “a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso; b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni; d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente”. I canoni di concessione per ogni tipo di utilizzo sono fissati nel Tariffario per la determinazione di canoni, corrispettivi e modalità per le concessioni relative all’uso strumentale e precario dei beni in consegna al Ministero, ferma restando la facoltà dei singoli enti o di altri organi amministrativi di stabilire canoni di concessione diversi.

Al comma 3 dell’articolo 108 del Codice dei beni culturali sono previste alcuni casi di libera fruizione, ovvero delle ipotesi di riproduzione/duplicazione del bene culturale anche in assenza di autorizzazione: “Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. […]”. Il successivo comma 3-bis stabilisce altresì che “Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale: 1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né, all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi o treppiedi; 2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro”. In base a quanto stabilito dal comma 3-bis, quindi, ad esempio, l’utente di un social network potrebbe caricarvi l’immagine di un bene culturale, ma eventuali terzi non potrebbero appropriarsi dell’immagine del bene e diffonderla a loro volta per finalità commerciali, senza aver previamente ottenuto l’autorizzazione dell’amministrazione avente il bene in consegna.

Le precedenti decisioni del Tribunale di Firenze sul David di Michelangelo

La statua del David di Michelangelo è emblema del Rinascimento italiano ed è conosciuta in tutto il mondo. Pertanto, oltre a rappresentare un modello nel campo artistico, l’opera custodita dalla Galleria dell’Accademia di Firenze ha anche un grande impatto nel mondo pubblicitario. Negli ultimi anni il David di Michelangelo è stato infatti utilizzato da numerose società per promuovere i propri prodotti o servizi, dalle visite turistiche alle armi sino a vestiti ed occhiali; tuttavia, sempre senza ottenere la previa autorizzazione da parte dell’amministrazione che lo ha in consegna, e pertanto in violazione degli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali.

Il primo caso di uso indiscriminato dell’immagine del David risale al marzo del 2014, quando una nota società americana produttrice di armi ha utilizzato l’immagine del David di Michelangelo in una versione “armata” quale forma di pubblicità. A tale utilizzo il MiBACT, ritenendo offensivo e di cattivo giusto l’accostamento del David con le armi da fuoco, ha reagito con ferma opposizione, ottenendo lo spontaneo ritiro della campagna pubblicitaria da parte della società americana.

La prima decisione avente ad oggetto la statua del David di Michelangelo risale al 2017. La Galleria dell’Accademia ha citato in giudizio un’agenzia di viaggi – che offriva ai suoi clienti accessi ad alcuni musei italiani, tra cui la Galleria dell’Accademia, con visite guidate a prezzi peraltro superiori rispetto a quelli praticati dalla biglietteria del museo, che le consentivano notevoli margini di guadagno – per aver utilizzato una foto del David di Michelangelo sul suo materiale promozionale, tra cui dépliant, brochure e sito web. Secondo la Galleria dell’Accademia tali usi costituivano una violazione degli articoli 107 e 108 del Codice dei beni culturali poiché (i) la statua rientra tra i beni tutelati dal Codice, (ii) l’utilizzo di un’immagine raffigurante il David è considerato una riproduzione ai sensi del Codice, (iii) tale riproduzione non era stata autorizzata dalla Galleria dell’Accademia e (iv) nessun corrispettivo era stato pagato dall’agenzia di viaggi. Con ordinanza emanata il 25 ottobre 2017, il Tribunale di Firenze ha accolto le argomentazioni della Galleria dell’Accademia e ha statuito il divieto per l’agenzia viaggi di utilizzare e sfruttare a fini commerciali su tutto il territorio nazionale l’immagine del David di Michelangelo senza il permesso della Galleria dell’Accademia e senza il pagamento dei diritti di riproduzione. Conseguenza di tale decisione è stato non solo l’immediato ritiro dal mercato di tutto il materiale pubblicitario e mezzo stampa, ma anche l’oscuramento dell’immagine del David sul sito dell’agenzia turistica. Il Tribunale di Firenze ha inoltre condannato l’agenzia a pubblicare il testo dell’ordinanza su tre diversi quotidiani a diffusione nazionale e tre periodici scelti dalla Galleria dell’Accademia oltre che sul proprio sito web, nonché al pagamento di una penale pari a € 2.000 per ogni giorno di ritardo nell’ottemperanza delle disposizioni impartite.

La recente ordinanza del Tribunale di Firenze e l’impatto sull’uso di beni culturali per una pubblicità

Il caso giudicato di recente dal Tribunale di Firenze ha visto condannato un centro di formazione toscano per scultori per aver diffuso sul proprio sito web una campagna pubblicitaria in cui veniva riprodotto il David di Michelangelo, senza aver ottenuto l’autorizzazione della Galleria dell’Accademia a riprodurre la nota statua (ordinanza del 14 aprile 2022 all’esito del procedimento di reclamo RG n. 1910/2022 proposto dal MiBACT).

In relazione al profilo del periculum in mora, il Tribunale ha innanzitutto accertato la prontezza del MiBACT nell’attivarsi in sede giudiziale non appena è venuto a conoscenza dell’utilizzo dell’immagine del David di Michelangelo per scopi commerciali da parte di una società. Inoltre, il Tribunale ha ritenuto “l’utilizzo dell’immagine del David sul sito di un’impresa commerciale […] idoneo a svilire l’immagine del bene culturale facendolo scadere ad elemento distintivo della qualità della impresa che, attraverso il suo uso promuove la propria immagine, con uso indiscutibilmente commerciale, che potrebbe indurre terzi a ritenere siffatto libero utilizzo lecito o tollerato”, e ciò anche a prescindere dal fatto che si tratti di immagini tratte della copia dell’originale realizzata dalla società utilizzatrice. Pertanto, il Tribunale ha ravvisato la sussistenza dei “presupposti per la chiesta tutela in via d’urgenza evidenziando che per quanto i profili economici possano sempre essere regolati monetariamente, la volgarizzazione dell’opera d’arte e culturale e la riproduzione senza il preliminare vaglio ad opera delle autorità preposte con riferimento alla compatibilità tra l’uso e il valore culturale dell’opera, crea il pericolo di un danno irreversibile per tutti quegli usi che l’autorità preposta dovesse giudicare incompatibili”. Peraltro, il Tribunale ha precisato che “poiché il danno all’immagine dell’opera pubblica è un danno anche immateriale al bene culturale per il suo valore collettivo […] tale valore subirebbe un irreversibile pregiudizio nelle more della definizione della causa di merito”.

Con riferimento al fumus boni iuris, il Tribunale ha poi ritenuto sussistente un vero e proprio diritto all’immagine del bene culturale. Secondo il Tribunale fiorentino, “grazie all’elencazione dettagliata delle attività sottratte all’obbligo di preventiva autorizzazione, emerge dunque l’esistenza giuridica di un quid pluris, del tutto diverso dal mero sfruttamento economico della riproduzione del bene culturale. Già sulla base del solo art. 108 co. 3-bis C.B.C., esso è individuabile nella destinazione funzionale dei beni culturali ad essere fruiti in modo culturalmente qualificato e gratuito da parte dell’intera collettività, secondo modalità che portino allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza, da parte del pubblico, del patrimonio storico e artistico della Nazione. La ratio delle disposizioni esaminate, pertanto, saldamente delinea la tutela di un aspetto di carattere anche non patrimoniale attinente alla riproduzione del bene culturale. Tali aspetti essenziali altro non possono configurare che il diritto all’immagine del bene culturale”.

Il Tribunale ha precisato inoltre che la riproduzione dei beni culturali può avvenire solo ove sussistano i requisiti della pubblica fruizione di cui all’art. 108 del Codice dei beni culturali. Pertanto, per la legittima riproduzione dei beni culturali, non è sufficiente il pagamento di un corrispettivo, poiché elemento imprescindibile del lecito utilizzo dell’immagine del bene culturale è l’autorizzazione dell’Amministrazione, resa all’esito di una valutazione discrezionale circa la compatibilità dell’uso richiesto con la destinazione culturale e il carattere storico-artistico del bene. Dunque, la natura stessa del bene culturale “esige la protezione della sua immagine, mediante la valutazione di compatibilità riservata all’Amministrazione, intesa come diritto alla sua riproduzione nonché come tutela della considerazione del bene da parte dei consociati oltre che della sua identità, intesa come memoria della comunità nazionale e del territorio, quale nozione identitaria collettiva: tale contenuto configura un diritto all’immagine del bene culturale in senso pieno. L’oggetto della tutela del patrimonio culturale è infatti ivi individuato anche nella sua funzione identitaria collettiva (“memoria della comunità nazionale”): il patrimonio culturale esprime e conserva il patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico della collettività, la cui protezione viene ad individualizzarsi e concretizzarsi in relazione ai singoli beni culturali”.

Sembra che si sia creata una giurisprudenza consolidata rispetto all’uso di beni culturali nell’ambito di una pubblicità, ma dovremo vedere i futuri sviluppi. Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Quali rischi legali e raccomandazioni per i videogiochi iperrealistici”.

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