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Il Tribunale di Torino ha analizzato la disciplina in materia di informazioni confidenziali che disciplinano tutela dei segreti commerciali fornendo una interessante prospettiva.

Nella sentenza n.1634/2023 il Tribunale di Torino ha analizzato la disciplina in materia di informazioni confidenziali la cui acquisizione non autorizzata è protetta sia ai sensi degli artt. 98 e 99 c.p.i., che disciplinano la tutela dei segreti commerciali, sia ai sensi dell’art. 2598 c.c., in quanto l’illecita asportazione di dati riservati può configurare un’attività di concorrenza sleale.

Il giudizio è stato promosso da una società operante nel settore della vendita di autoveicoli che ha citato una concorrente, lamentando una condotta di sviamento di clienti posta in essere tramite l’illecita estrazione di informazioni confidenziali, quali dati informatici e documentazione riservata. Secondo la ricostruzione attorea, un ex-dipendente, passato alle dipendenze della convenuta, avrebbe utilizzato dati confidenziali estratti da piattaforme in uso dall’attrice, per attirare clienti dell’ex-datrice di lavoro, attuando condotte di concorrenza sleale. Secondo l’attrice tali informazioni avrebbero costituito segreti commerciali con un significativo valore economico, in quanto patrimonio acquisito e affinato dalla società nel corso degli anni. Inoltre, sarebbero state trasferite rilevanti quantità di dati in formato digitale verso account o dispositivi esterni. Tali condotte avrebbero costituito un’acquisizione indebita di segreti commerciali ai sensi degli artt. 98 e 99 c.p.i., poiché i dati contenuti nei sistemi della società avevano natura segreti ed era erano accessibili solo con user ID e password. La convenuta avrebbe anche posto in essere una condotta di concorrenza sleale finalizzata allo sviamento della clientela.

Ai sensi degli artt. 98 e 99 c.p.i., la protezione come segreti commerciali è riconosciuta a informazioni aziendali e a esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, posto che queste (i) non sono generalmente note o accessibili in modo facile agli esperti e operatori del settore; (ii) hanno un valore economico proprio perché sono tenute segrete; e (iii) sono sottoposte a misure che sono ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Nel caso di specie, il Tribunale di Torino ha escluso che la sottrazione dei dati indicati dall’attrice potesse configurare violazione della disciplina dei segreti commerciali, dal momento che i sistemi informatici dai quali sarebbero state trasferite le informazioni oggetto del giudizio sono di proprietà della casa automobilistica i cui prodotti vengono commercializzati dall’attrice. La banca dati contenuta in tali sistemi è pertanto liberamente e facilmente accessibile da tutti i concessionari: lo scopo di tale software è proprio quello di condividere i dati relativi alla clientela e alle condizioni contrattuali applicate con tutta la rete dei venditori. Secondo il Tribunale di Torino, non sussistono i requisiti previsti all’art. 98 c.p.i., dal momento che le informazioni sono agevolmente accessibili a tutti gli esperti di settore e non sono state adottate delle misure adeguate a rendere segrete i dati immesse nei sistemi.

Esclusa la violazione della normativa in materia di segreti commerciali, il Tribunale ha valutato se potesse configurarsi una condotta concorrenza sleale. La giurisprudenza e la dottrina concordano che le informazioni confidenziali non sono solo tutelabili come segreti commerciali ai sensi degli artt. 98 e 99 c.p.i.: l’art. 2598 n. 3 c.c., che sanziona gli atti di concorrenza sleale contrari alla correttezza professionale, può ricomprendere anche l’acquisizione illecita e scorretta di informazioni che siano confidenziali, ma che non siano classificabili segreti commerciali data dall’art. 98 c.p.i.. In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione n. 18772/2019 ha sancito che l’illecita asportazione di dati riservati sia sanzionabile ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. anche quando si tratta di “complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segregati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino una banca data che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito”.

Lo sviamento della clientela non è un illecito tipizzato dalla giurisprudenza in modo consolidato: costituisce una forma di concorrenza, che per divenire illecita deve avere luogo, direttamente o indirettamente, tramite mezzi non conformi ai principi della correttezza professionale. La natura illecita della condotta deve essere determinata in base all’insieme dell’attività che dovrebbe danneggiare il concorrente o che è finalizzata ad approfittare dell’avviamento di quest’ultimo sul mercato. Ciò non si configura se vengono utilizzati i rapporti commerciali e le conoscenze di un ex-dipendente di un concorrente, che non sia vincolato da un patto di non concorrenza.

Sulla base della facile accessibilità dei dati relativi ai clienti dell’attrice, caricati su un sistema condiviso tra i concessionari, il Tribunale di Torino ha ritenuto infondata anche la sussistenza di condotte di concorrenza sleale poste in essere con l’indebita acquisizione e trasferimento di informazioni confidenziali, che appunto nel caso di specie non erano proteggibili come segreti commerciali.

Secondo il Tribunale, il comportamento della convenuta è rientrato nei normali canoni di concorrenza anche tenendo conto che nel settore di riferimento la clientela è legata al singolo venditore da un rapporto di fiducia e il cliente può rivolgersi più concessionari per ricercare le condizioni migliori di vendita. Infine, il numero di clienti che sarebbero stati sviati a danno dell’attrice non è stato quantitativamente tale da costituire una sistematica acquisizione della clientela, non configurandosi pertanto alcun profilo di illiceità nell’attività della convenuta. Pertanto, il Tribunale di Torino ha rigettato integralmente le richieste attoree, stabilendo che l’assenza di modalità illecite lesive della correttezza professionale nello sviamento di clientela non ha determinato nemmeno una violazione ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. da parte della società convenuta.

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