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La recente ordinanza n. 20800/2023 della Corte di Cassazione offre un nuovo contributo interpretativo relativo all’applicazione delle norme in tema di retroversione degli utili cui all’articolo 125 del Codice della Proprietà Industriale (CPI).

Il 18 luglio 2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso che coinvolge un ex licenziatario accusato di aver violato diritti di privativa su marchi registrati e un distributore terzo, che si è trovato involontariamente al centro di una controversia giuridica avviata dal titolare dei diritti in questione.

L’aspetto centrale della decisione riguarda la risposta a un ricorso incidentale presentato dal distributore, che contestava un’interpretazione dell’art. 125, comma 3, del CPI da parte della Corte d’Appello. Secondo l’obiezione del distributore, la Corte d’Appello avrebbe errato nell’applicare tale normativa con un’accezione risarcitoria piuttosto che restitutoria, imponendo la retroversione degli utili a un soggetto che non era direttamente responsabile della contraffazione de quo.

La Corte di Cassazione ha invece preso una posizione opposta, ponendosi in continuità con una precedente sentenza della Cassazione. Infatti, esattamente due anni fa, con ordinanza del 29 luglio 2021 – n. 21833/2021, i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che : “In tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa che lamenti la sua violazione ha facoltà di chiedere, in luogo del risarcimento del danno da lucro cessante, la restituzione (c.d. “retroversione”) degli utili realizzati dall’autore della violazione, con apposita domanda ai sensi dell’art. 125, c.p.i., senza che sia necessario allegare specificamente e dimostrare che l’autore della violazione abbia agito con colpa o con dolo.”

Anche secondo la Corte di quest’ultima decisione, il rimedio della retroversione degli utili non necessita della dimostrazione dell’elemento soggettivo di colpa o dolo da parte dell’autore della violazione. Si tratta, dunque, di uno strumento “sui generis”, parzialmente compensatorio e parzialmente deterrente, che si distingue nettamente dalla tradizionale tutela risarcitoria. Questo implica che il titolare del diritto non è tenuto a fornire prove di un danno subito a causa dell’attività illecita altrui.

Sul versante pratico, la Corte ha ulteriormente delineato il metodo per calcolare gli importi da restituire. Tale calcolo dovrebbe essere basato su una “derivazione causale”, in conformità all’art. 1223 del Codice Civile, e dovrebbe escludere i costi sostenuti dal responsabile della violazione. È onere del contraffattore fornire elementi concreti per il calcolo, desumibili dai bilanci, che si riferiscano esclusivamente ai costi “incrementali”, ossia quelli direttamente legati ai prodotti contraffatti.

Pertanto, secondo la Corte, la ratio legislativa dietro tale disposizione è chiara: impedire che il contraffattore possa beneficiare economicamente dal proprio atto illecito e disincentivare la pianificazione di attività contraffattive. In tale ottica, la retroversione degli utili agisce come uno strumento efficace per tutelare i titolari di diritti di proprietà intellettuale.

Infine, possiamo sostenere che l’ordinanza n. 20800/2023 rappresenta un ulteriore passo avanti nel consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale relativo ai rimedi disponibili in caso di violazione di diritti di privativa. In particolare, fornisce un quadro chiaro e complesso della retroversione degli utili, delineando i contorni di un rimedio che assume sempre più importanza nell’attuale panorama legale del diritto della proprietà intellettuale.

Su un simile argomento, può essere interessante l’articolo “Appello Milano sul contributory infringement e retroversione degli utili”.

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