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Svizzera neutrale? Non quando entra in gioco il cioccolato! Il Giandujotto, icona del palato torinese, si trova al centro di un acceso dibattito che si estende oltre i confini nazionali. Il colosso elvetico Lindt si è infatti opposto alla richiesta di riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta) per il Giandujotto torinese, contestando l’esclusione del latte dalla ricetta, nonostante sia storicamente composta solo da nocciola, zucchero e massa di cacao.

Il dibattito dimostra il complicato equilibrio tra tradizione e interessi commerciali e vede coinvolti gli artigiani torinesi, da un lato, intenzionati a preservare l’autenticità e la storia del Giandujotto, e il gruppo Lindt, dall’altro, che rivendica la paternità del delizioso cioccolatino, essendo la sua creazione tradizionalmente attribuita a Caffarel, celebre azienda piemontese acquisita nel 1997 proprio dal gruppo Svizzero e che certamente non vuole restare escluso dal maggior indotto economico che il famoso cioccolatino potrebbe generare una volta ottenuto il riconoscimento.

Le origini del Giandujotto: la rivoluzione dolciaria nell’era Napoleonica

Il Giandujotto Torinese ha radici profonde nella storia del Piemonte. La sua origine è legata ad un ingegnoso espediente ideato dal maestro cioccolatiere Michele Prochet durante il blocco continentale imposto da Napoleone Bonaparte, che limitava l’importazione di cacao dall’Inghilterra e dalle sue colonie. Per ovviare alla carenza e al costo elevato del cacao, i cioccolatai torinesi cominciarono a mescolare quest’ultimo con le nocciole delle Langhe, più economiche e reperibili localmente, creando così la pasta gianduia nel 1806.

Presentato al pubblico durante i festeggiamenti del carnevale del 1865, il primo cioccolatino confezionato singolarmente veniva distribuito per le strade da Gianduja, una maschera carnevalesca a cui deve il nome.

Il percorso verso il riconoscimento IGP e i vantaggi connessi al suo utilizzo

Negli ultimi anni, i produttori di Giandujotto a Torino hanno intrapreso un percorso ambizioso per ottenere il riconoscimento IGP, iniziato ufficialmente con la formazione del Comitato Giandujotto Torino IGP. Questo comitato, composto da celebri produttori come Guido Castagna, Guido Gobino e aziende di prestigio come Ferrero, Venchi, e Domori, ha collaborato con l’Università di Torino e il Laboratorio Chimico della Camera di Commercio di Torino per redigere un rigoroso disciplinare di produzione che stabilisce, tra le altre cose, il peso specifico per formato, la percentuale di cacao e la percentuale di nocciola, che deve essere tra il 30% e il 45%, con la rigorosa esclusione del latte.

Il disciplinare è il documento chiave nel processo di ottenimento del riconoscimento IGP. Infatti, per poter utilizzare una dicitura tutelata come indicazione geografica protetta, i produttori devono dimostrare la stretta connessione tra il prodotto e il territorio di riferimento e, soprattutto, il rispetto alla lettera delle regole stabilite dal disciplinare.

Considerati i numerosi vantaggi connessi allo sfruttamento di una indicazione geografica, non sorprende che la stesura del disciplinare sia uno dei momenti più delicati, che vede coinvolti gli interessi dei player del settore, desiderosi di dire la loro per evitare il rischio di non poter trarre vantaggio dal futuro riconoscimento.

Basti pensare, infatti, che i prodotti DOP o IGP tendono a vendere a prezzi significativamente più alti rispetto a quelli senza certificazione. In Europa, il valore delle vendite di prodotti con IG è doppio rispetto a quelli non certificati, con l’Italia che contribuisce per il 21% del valore complessivo. Inoltre, le esportazioni di prodotti con IG rappresentano una fetta considerevole delle esportazioni agroalimentari dell’UE, mostrando il loro valore sul mercato internazionale.

L’obiezione di Lindt: lo stallo al riconoscimento IGP del Giandujotto torinese

Lindt, colosso cioccolatiero svizzero, patria del cioccolato al latte, ha espresso la sua opposizione al disciplinare proposto, sostenendo che il latte vada necessariamente incluso tra gli ingredienti.

La richiesta ha incontrato la ferma opposizione dei produttori torinesi – a cui hanno espresso solidarietà altri famosi cioccolatieri nazionali, tra cui i membri del Consorzio del Cioccolato di Modica IGP – poiché la ritengono in stridente conflitto con la tradizione. Tuttavia, questa disputa ha comunque impedito il proseguimento del processo verso il riconoscimento IGP, momentaneamente all’impasse.

In questa intricata battaglia di sapori e tradizioni, nel cuore del Piemonte l’arte cioccolatiera si scontra con le regole di mercato, in una lotta che va oltre il palato, toccando l’orgoglio di una regione intera. Ma quando si parla di sapori autentici, gli italiani sanno essere inflessibili: la carbonara deve avere il suo guanciale, il ragù necessita delle sue tre ore di cottura e il Gianduiotto, simbolo di Torino, deve rimanere fedele alla sua essenza… senza latte!

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Seadas di Sardegna: un altro prodotto italiano che conquista il riconoscimento IGP”.

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