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La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla possibilità di considerare uno sguardo fugace di una signora, ripresa in un videoclip senza autorizzazione, come consenso tacito allo sfruttamento della propria immagine e al trattamento dei dati personali.

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Una nota casa discografica è stata condannata a risarcire i danni derivanti dalla lesione del diritto alla riservatezza di una signora che era stata coinvolta, senza il suo consenso, nelle riprese di un video musicale di un celeberrimo cantante neomelodico. Tale video-clip aveva poi raggiunto un’ampia diffusione su scala nazionale grazie alla vendita del relativo DVD in bundle con un popolare settimanale di televisione e spettacolo, comportando importanti ripercussioni sulla vita privata dell’interessata: l’attrice era stata, infatti, pizzicata in dolce compagnia di un uomo che, però, non era suo marito.

Ma andiamo con ordine e ripercorriamo questa interessante vicenda, che dal Tribunale di Benevento è giunta sino al cospetto della Suprema Corte di Cassazione, per poi soffermarci sul consenso tacito e la sua rilevanza per lo sfruttamento dell’immagine, possibili implicazioni derivanti dalla raccolta e trattamento dei dati personali derivanti dalla raccolta e diffusione di immagini o video realizzati durante eventi, e l’eventuale risarcimento del danno non patrimoniale

I requisiti del consenso “tacito” secondo la Corte di Cassazione e la prova del danno non patrimoniale

Nel lontano 2005, la signora L.M. chiese al Tribunale di Benevento la condanna di una nota casa discografica al risarcimento del danno patrimoniale per, inter alia, la lesione del proprio diritto alla riservatezza, reputazione e immagine, a seguito dell’ampia diffusione (anche in abbinamento ad un numero di un noto settimanale) di un DVD realizzato dalla stessa casa discografica. Tale DVD conteneva il video musicale di una famosa canzone neomelodica che, per l’appunto, era stato girato di notte per le strade della città partenopea e pizzicava proprio la signora L.M. in dolce compagnia, mano nella mano, di un uomo che non era suo marito e con il quale aveva una relazione sentimentale clandestina.

Benché l’attrice sostenesse che nessuno le avesse chiesto il previo consenso a divulgare la propria immagine, il Tribunale aveva accolto la tesi della convenuta, presumendo che il consenso della signora L.M. fosse implicito in quanto le riprese erano avvenute durante un evento pubblico. Naturalmente, l’attrice trovò tutt’altro che soddisfatte le proprie pretese e, di conseguenza, decise di appellare la sentenza.

La Corte d’Appello di Napoli ribaltò il verdetto del Tribunale e accolse l’appello della signora M.L.: secondo la corte partenopea da un’occhiata fugace non si poteva desumere consenso, al massimo solo curiosità per la telecamera. Tale circostanza era valorizzata anche dall’assenza di un set utile a individuare il campo delle riprese e la finalità del video. Quindi, nel caso di specie non poteva ricavarsi un consenso tacito all’utilizzo dell’immagine. A seguito del ricorso della casa discografica avverso la sentenza della Corta di Appello di Napoli, la questione giunse alla Corte di Cassazione che sostanzialmente, con l’ordinanza n. 36754/2021, confermò la decisione emessa dalla corte partenopea.

In linea di principio, la volontà allo sfruttamento della propria immagine può essere espressa anche tacitamente, ad esempio con il silenzio, comportamenti concludenti o può essere addirittura presunto. Quest’ultima ipotesi trova particolare applicazione con riferimento alle persone note nel mondo del cinema o, più genericamente, ai cosiddetti VIPs. Tuttavia, questo non esime il giudice di merito dal valutare le circostanze concrete del caso, inclusi i modi e gli scopi della diffusione. Infatti, quando si tratta di persone non avvezze allo sfruttamento della propria immagine per fini promozionali, come la signora L.M., è necessaria prudenza nell’interpretazione della normativa e considerare le importanti ripercussioni che la circolazione dell’immagine può comportare con riferimento alla riservatezza e alla vita privata, in quanto diritti tutelati dalla nostra Costituzione.

Pertanto, dall’illegittima pubblicazione dell’immagine i giudici di secondo grado (come confermato dalla Cassazione) hanno fatto derivare l’obbligo al risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c., in quanto si riteneva provato, in via presuntiva, che la pubblicazione dell’immagine della signora L.M. avesse inciso sui suoi diritti inviolabili, protetti dall’articolo 2 della Costituzione considerando:

  • la notorietà della rivista insieme alla quale veniva venduto il DVD del video-clip;
  • l’immensa fama di cui godeva (e tuttora gode) il cantante neomelodico nella sua città di origine; nonché
  • il contesto sociale del luogo di residenza dell’attrice, ove “la semplice notizia della relazione extraconiugale di una donna, ed ancor più dell’esistenza di tracce materiali visibili di tale relazione, suscita ampia curiosità“.

Riflessioni sul trattamento dei dati personali con riferimento alla raccolta e diffusione di immagini o video realizzati durante eventi

Dopo aver esaminato la vicenda e affrontato, senza alcuna pretesa di esaustività, il tema del consenso implicito allo sfruttamento dell’immagine, possiamo passare alle possibili implicazioni relative al trattamento dei dati personali derivanti dalla raccolta e diffusione di immagini o video realizzati durante eventi.

Com’è noto, ai sensi dell’articolo 4(1)(1) del Regolamento UE 679/2016 (GDPR), per “dati personali” si intende qualsiasi informazione riguardante l’interessato, ovverosia una persona fisica che “può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale“.

Quindi, oltre ai dati meramente identificativi come il nome e il cognome dell’interessato, che consentono un’immediata individuazione dello stesso, un ampio ventaglio di ulteriori categorie di informazioni può rientrare nel novero dei “dati personali”. Rientrano in tale definizione, infatti, anche i dati presentati sotto forma di suoni e immagini poiché, a ben vedere, possono essere riconducibili a una persona determinata o quantomeno determinabile. Tuttavia, la loro capacità di identificazione può variare a seconda del contesto e delle circostanze specifiche nonché tenendo conto dello stato attuale della tecnologia e delle ulteriori informazioni che possono essere combinate.

Pertanto, anche l’immagine di una persona, come ogni dato personale, può essere trattata solamente se il titolare del trattamento rispetta i requisiti sanciti dal GDPR e, in particolare, se individua una valida base giuridica ai sensi dell’articolo 6.

Poiché spesso le riprese effettuate durante gli eventi sono accompagnate dal rilascio congiunto di liberatoria e informativa sul trattamento dei dati personali agli interessati, spesso ci si chiede se e come tali documenti possano essere coordinati e quale possa essere la base giuridica applicabile per il trattamento dell’immagine come dato personale. In particolare, ci si interroga circa la possibilità di basare tali trattamenti sull’articolo 6(1)(b) GDPR, quindi sull’esecuzione del contratto con l’interessato che prevede la diffusione delle immagini realizzate durante gli eventi, dove il contratto è costituito dalla liberatoria uso immagini, oppure sul consenso privacy ex articolo 6(1)(a) GDPR.

Poiché la liberatoria è un contratto che a tutti gli effetti prevede degli adempimenti in relazione alle attività di ripresa ed eventuale diffusione delle immagini, è prassi basare tale trattamento sull’art. 6(1)(b) GDPR ma non vi sono espresse previsioni che impediscano di raccogliere due consensi separati (uno civilistico, con la liberatoria, e uno privacy). Tuttavia, quest’ultimo approccio potrebbe risultare macchinoso e talvolta contraddittorio se si dovesse verificare l’ipotesi (tutt’altro che remota) in cui un interessato, un giorno, dovesse revocare il consenso, precedentemente prestato, come consentito dall’articolo 17 del GDPR.

Tuttavia, tornando al clou della vicenda giuridica incardinata a seguito della diffusione del video-clip neomelodico, a differenza dell’eventuale consenso tacito per lo sfruttamento dell’immagine dei VIPs, è da escludersi che un simile approccio possa adottarsi con riferimento al trattamento dei dati personali e al rilascio di un valido consenso ai sensi e per gli effetti dell’articolo 6(1)(a) del GDPR. Infatti, il consenso dell’interessato deve essere preventivo, inequivocabile (cosa che un’occhiata fugace certamente non lo è) ma, soprattutto, provato dal titolare del trattamento. Lascia poco spazio ai dubbi il Considerando 32 del GDPR: il silenzio non può assurgere a consenso per il trattamento dei propri dati personali.

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