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Le principali etichette discografiche su scala mondiale hanno citato in giudizio negli Stati Uniti due società di software di intelligenza artificiale, con l’accusa di aver addestrato i rispettivi modelli generativi su brani protetti da copyright, senza autorizzazione dei titolari dei diritti.

La vicenda è simile a quella che ha visto come protagonista, qualche mese fa, il New York Time, che aveva a sua volta promosso un giudizio contro Open AI per violazione del copyright, sostenendo che la società avrebbe addestrato i propri modelli di intelligenza artificiale copiando e utilizzando milioni degli articoli pubblicati dalla testata.

Anche in questo caso, infatti, la principale accusa delle major verte sul sistema di addestramento dell’AI: in altri termini, le reti neurali delle tecnologie sviluppate dalle due start-up sarebbero state create utilizzando migliaia di brani musicali senza autorizzazione. Le discografiche sostengono che le start-up hanno usato musica protetta da copyright per addestrare le loro IA, perché le reti neurali di tali sistemi creano prodotti estremamente simili ai brani originali, allegando a prova di ciò gli output generati dall’AI, inclusi gli spartiti, simili (sebbene non identici) nel ritmo e nell’intonazione ad alcune canzoni molto note. Secondo le attrici, ciò non solo confermerebbe che tali brani erano contenuti nel materiale di training, ma contribuirebbe a spiegare la capacità dei sistemi di AI di costruire ed elaborare opere che riecheggiano i brani originali.

Dal canto loro, le start-up non hanno mai dichiarato pubblicamente quali materiali hanno utilizzato per addestrare le loro AI e, anzi hanno dichiarato che esse si basano su una tecnologia trasformativa, pensata per generare nuovi brani. Al contempo, negano che vengano memorizzati brani esistenti. Inoltre, il CEO di una delle due società, ha anche sottolineato che la propria AI non permette all’utente di indicare un artista di riferimento per il brano da creare, ciò che proverebbe l’impossibilità di copiarne lo stili o il repertorio.

Le discografiche chiedono un risarcimento di 150.000 dollari per ogni brano utilizzato senza licenza, oltre alla diffida a utilizzare materiale protetto da diritto d’autore in futuro e al pagamento delle spese legali, ma in considerazione dell’asimmetria informativa sul funzionamento dei sistemi di AI, potrebbe essere difficile stabilire con precisione quante opere siano state utilizzate dalle startup.

La decisione si baserà sul diritto americano e, in particolare, presumibilmente, sulla cd. fair use doctrine, teoria giuridica che promuove la libertà di espressione autorizzando l’uso in alcune circostanze e a determinate condizioni, di opere tutelate dal copyright senza previa richiesta di licenza. Diverso sarebbe stato il caso in cui il giudizio fosse stato promosso in Europa, dove le eccezioni al diritto d’autore sono molto ristrette e dove, ad oggi, l’AI Act richiama l’art. 4 della Direttiva Copyright (eccezione di text and data mining), un’accezione al diritto d’autore applicabile solo in casi limitatissimi.

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