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Utili criteri per la gestione della confusione tra marchi emergono dall’accoglimento parziale della domanda di registrazione di un marchio europeo depositata da un noto gruppo di moda spagnolo nell’ambito di una disputa lunga un decennio giunta ora innanzi alla Corte di Giustizia.

Nel 2010, il gruppo di moda spagnolo presentava una domanda di registrazione di marchio denominativo europeo per i prodotti e servizi delle classi da 29 a 32 e 35 e 43. Successivamente, avverso l’intera domanda presentava opposizione un produttore alimentare italiano. Tra le basi dell’opposizione, un marchio figurativo italiano con elemento denominativo identico al segno oggetto della domanda di registrazione, in relazione alla sola classe 30, e una registrazione internazionale avente ad oggetto, tra gli altri segni, anche il segno oggetto di contestazione, in relazione alle classi 29 e 30. Nel 2015, intervenuto l’accoglimento parziale dell’opposizione da parte della Divisione di opposizione dell’EUIPO, che consentiva la registrazione solo nella Classe 43, entrambe le parti procedevano innanzi alla Commissione di ricorso. La richiedente, in particolare, in tale sede vedeva confermata la decisione della Divisione. Nel 2019, la decisione veniva annullata dal Tribunale, che non riteneva sufficienti le motivazioni a sostegno delle conclusioni. La richiedente, dopo aver ottenuto l’accoglimento della domanda per le classi 31 e 32 a seguito della decisione della Commissione di ricorso, adiva nuovamente il Tribunale.

Quella in oggetto è una controversia che si è sviluppata nel corso di dieci anni. Per quanto rileva in questa sede, potrebbe essere utile ricordare alcuni principi ribaditi nelle diverse decisioni. Di seguito, i punti più rilevanti.

Con riferimento alla notorietà del marchio, il Tribunale confermava il principio secondo cui non esiste una nozione di notorietà del marchio successivo nella valutazione del rischio di confusione, sottolineando altresì che solo la notorietà del marchio anteriore, cioè a dire quello dell’opponente, è rilevante ai fini dell’esame, il che fornisce criteri utili per l’analisi della questione con riferimento alla confusione tra marchi.

Rispetto alla somiglianza dei segni, il Tribunale confermava il criterio di valutazione applicato dalla Commissione di ricorso, nella misura in cui ha ritenuto che i “prodotti lattiero-caseari” fossero simili all'”olio d’oliva”. Vero è che i prodotti lattiero-caseari includono il burro, che ha lo stesso scopo e metodo di utilizzo dell’olio d’oliva, e che spesso tali prodotti sono anche in chiara concorrenza. Inoltre, il Tribunale statuiva che la “farina” è simile alla “pasta” e al “grissino”, rappresentando il principale ingrediente utilizzato nella loro preparazione. Ciò, ha comportato l’accoglimento della domanda nelle sole classi 31 e 32.

Riconosciuta anche la somiglianza, seppur limitata, tra “servizi di ristorazione (cibo); self-service, caffetterie” in classe 43 e “pasta secca di origine italiana” e “salse per pasta” in Classe 30. Ciò, in considerazione della possibilità dei ristoranti di vendere cibi pronti da mangiare che rende i servizi impugnati complementari. Verosimilmente, i clienti sono gli stessi e sono in concorrenza poiché il consumatore può scegliere tra l’acquisto di prodotti alimentari e il consumo a domicilio o in un ristorante, compreso un ristorante self-service o una caffetteria.

La richiedente proseguirà ora la propria battaglia innanzi alla Corte di Giustizia.

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