La Corte di Cassazione si è pronunciata sul risarcimento danno nella forma di perdita di chances professionali dovute dalla violazione del diritto morale d’autore.
Nell’ordinanza n. 28285 del 28 settembre 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla configurabilità e il risarcimento del danno nella forma di perdita di chances professionali in seguito alla violazione del diritto morale d’autore lamentata da un professionista che nel corso della propria collaborazione con un’emittente televisiva non è stato indicato nei titoli di coda come autore dei filmati da questi realizzati e trasmessi nei programmi televisivi. La Corte ha stabilito che il professionista non ha fornito prova di quale fosse la base economica dei guadagni realizzati su cui poter quantificare un’ipotesi di liquidazione del danno, anche in via equitativa.
La controversia origina dal rapporto di collaborazione di un professionista iscritto all’ordine dei giornalisti, che lavorava come cameraman e montatore di filmati per il servizio pubblico televisivo. Durante tale collaborazione il collaboratore ha realizzato numerosi montaggi, trasmessi in televisione, in cui non è mai stato indicato il nome del professionista quale autore nei titoli di coda. Pertanto, il professionista ha agito giudizialmente per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla violazione del suo diritto d’autore, tra cui anche la perdita di chances professionali.
In primo grado, il Tribunale di Sanremo ha sancito che la controversia avesse ad oggetto solamente il diritto morale d’autore, ossia il diritto a far valere, far riconoscere e rivendicare la paternità di un’opera, diritto che è inalienabile e intrasferibile. Nel caso di specie, i diritti allo sfruttamento economico dell’opera erano stati acquistati legittimamente dall’emittente televisiva. Nonostante il riconoscimento della violazione del diritto morale d’autore, il Tribunale ha rigettato le richieste dell’attore, dal momento che il risarcimento sarebbe spettato esclusivamente per il danno patrimoniale, di cui però non è stata offerta prova. Il professionista ha proposto appello avverso tale decisione, facendo richiesta, oltre della soddisfazione delle domande già presentate in primo grado, del risarcimento del danno anche non patrimoniale, oltre che di quello patrimoniale, per la violazione del proprio diritto morale d’autore, da determinarsi anche con valutazione equitativa.
La Corte d’Appello ha confermato la sentenza impugnata e il collaboratore ha proposto ricorso in Cassazione, contestando l’assenza dell’applicazione del criterio di risarcimento equitativo ex art. 1226 c.c. per la determinazione del risarcimento e la mancanza di motivazione dell’esclusione del danno patrimoniale. La Corte Suprema ha accolto il ricorso e ha rinviato alla Corte d’Appello di Genova per decidere nuovamente sulla questione, sancendo che la violazione del diritto morale dell’attore era incontestata, che la prova del danno subito può essere fornita anche con presunzioni e che lo stesso potrebbe essere liquidato con valutazione equitativa. La Corte d’Appello ha nuovamente confermato le determinazioni delle decisioni di merito, stabilendo che la Corte di Cassazione non ha definito alcuna presunzione legale sull’esistenza del danno: il ricorrente ha fatto riferimento alla perdita di chances, senza però indicarne come prova fatti concreti.
Il professionista ha, quindi, nuovamente proposto ricorso in Cassazione avverso la seconda sentenza in appello, sostenendo che il concetto di perdita di chances professionali comprende la possibilità di delineare delle ipotesi e non necessita di dare prova di fatti concreti, essendo sufficiente una valutazione sulla considerazione di una potenzialità venuta meno. Secondo il ricorrente, l’indicazione del nome dell’autore avrebbe fornito una pubblicità che gli avrebbe sicuramente permesso di acquisire nuova clientela.
La Corte di Cassazione ha sostenuto che la Corte d’Appello ha correttamente provveduto ad accertare se la richiesta di risarcimento fosse fondata su sufficienti elementi presuntivi. Infatti, confermando l’orientamento consolidato di legittimità sul risarcimento da perdita di chances professionali, la Cassazione ha condiviso la posizione della Corte d’Appello che le mere indicazioni di ipotesi di astratte perdite di occasioni di guadagno, senza fare riferimento a fatti concreti e senza riferimenti al giro d’affari del professionista o ad un eventuale decremento dello stesso, collegabile in qualche modo ai fatti oggetti di causa, costituiscono elementi presuntivi non adeguati a dimostrare l’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale.
Nel caso di specie, il professionista non ha mai dato indicazioni economiche sui guadagni realizzati tramite i servizi realizzati con l’emittente televisiva o con altri clienti, che potessero essere utilizzati come base su cui quantificare in via equitativa una liquidazione del danno. Tale tipo di liquidazione del risarcimento avrebbe in ogni caso dovuto tenere conto delle specifiche condizioni economiche e organizzative del professionista, non su parametri generali validi per qualsiasi tipo di professionalità e senza alcun riferimento alle condizioni del danneggiato nel proprio ambito lavorativo. Alla luce di tali motivazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali, oltre che dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.
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