Il TAR Lazio solleva questioni pregiudiziali alla CGUE per l’obbligo di iscrizione al ROC per fornitori di servizi di intermediazione online e i motori di ricerca.
Con ordinanza n. 12834 del 10 ottobre scorso, il TAR del Lazio ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGEU) una serie di questioni pregiudiziali relative all’obbligo di iscrizione al registro degli operatori di comunicazione (ROC) a carico dei fornitori di servizi di intermediazione online e dei fornitori di motori di ricerca online.
L’ordinanza di rinvio è stata resa nell’ambito di un giudizio di impugnazione promosso da una piattaforma di intermediazione online avverso, tra l’altro, la delibera dell’AGCOM 200/21/CONS che ha previsto tale obbligo in applicazione dell’art. 1, co. 515, della Legge n. 178/2020 (la c.d. Legge Bilancio 2021). Questa norma – il cui dichiarato obiettivo è di “promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione online” – ha in particolare introdotto l’obbligo di iscrizione al ROC in capo ai fornitori di servizi di intermediazione online e ai motori di ricerca online che offrano servizi in Italia, anche se non ivi stabiliti.
La ricorrente ha dedotto la contrarietà di tale norma e della delibera dell’AGCOM con il diritto europeo sotto diversi profili e, segnatamente, con il Regolamento (UE) 2019/1150 – che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online e in virtù del quale il legislatore nazionale ha introdotto l’obbligo di cui all’art. 1, co. 515, della Legge Bilancio 2021 – con la Direttiva (UE) 2015/1535, con la Direttiva 2000/31/CE (c.d. Direttiva sul commercio elettronico) e con il principio di libera prestazione dei servizi (con particolare riguardo alla Direttiva 2006/123/CE).
Il TAR Lazio osserva che l’obbligo di iscrizione al ROC in questione “publicizza principalmente gli assetti proprietari ed amministrativi dei soggetti onerati, senza fornire alcuna indicazione in ordine al rispetto degli obblighi previsti dal regolamento e in ordine alla trasparenza ed equità dei rapporti con gli utenti commerciali”, così introducendo “un controllo del tutto diverso e contrastante con quello previsto per l’attuazione del regolamento, oltre che inadeguato rispetto al fine perseguito, atteso che si tratta di un controllo relativo a profili soggettivi dei fornitori e non invece al concreto rispetto da parte degli stessi degli obblighi previsti dal regolamento al fine di assicurare la trasparenza e l’equità dei rapporti contrattuali con gli utenti commerciali”.
Il TAR Lazio ha quindi formulato domanda pregiudiziale per chiedere alla Corte se il Regolamento (UE) 2019/1150 osti ad una disposizione nazionale che, al fine di promuovere l’equità e la trasparenza in favore degli utenti commerciali di servizi di intermediazione online, impone ai fornitori di servizi di intermediazione e di motori di ricerca online l’iscrizione in un registro che, come il ROC, comporta “la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico” oltre a prevedere “sanzioni in caso di suo inadempimento”.
Per quanto riguarda la Direttiva 2015/1535 – la quale prevede, tra l’altro, che gli Stati membri comunichino alla Commissione europea “ogni progetto di regola tecnica” – il TAR Lazio ha domandato alla Corte se tale Direttiva imponga agli Stati membri di comunicare alla Commissione “i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei fornitori di servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online l’obbligo di iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico” e, in caso di risposta positiva, “se la direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure non notificate alla Commissione”.
Simile si presenta la questione pregiudiziale posta con riferimento alla Direttiva 2000/31/CE, la quale prevede, tra l’altro, l’obbligo per gli Stati membri di notificare alla Commissione l’intenzione di adottare provvedimenti in deroga al principio generale di libera circolazione dei servizi della società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro. Il TAR Lazio ha dunque domandato alla Corte se tale previsione “impone agli Stati membri di comunicare alla Commissione i provvedimenti con cui viene previsto a carico dei fornitori di servizi di intermediazione online e di motori di ricerca online l’obbligo di iscrizione in un registro, comportante la trasmissione di rilevanti informazioni sulla propria organizzazione e il pagamento di un contributo economico” e se, in caso positivo, la direttiva consenta ad un privato di opporsi all’applicazione nei suoi confronti delle misure che lo Stato membro non ha notificato alla Commissione.
Con riferimento al principio di libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE, così come declinato dalla Direttiva 2006/123/CE, il TAR Lazio osserva che quest’ultima stabilisce il principio generale per cui gli Stati membri “rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti” e che “non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi: a) non discriminazione […]; b) necessità; c) proporzionalità”.
Poiché il TAR Lazio ritiene che “l’imposizione dell’iscrizione al registro ROC rivolta ad imprese stabilite in altro Stato membro comporta costi economici ed amministrativi suscettibili di alterare il mercato comune che possono ritardare, complicare o rendere più onerosa la prestazione dei servizi nello Stato membro ospitante”, ha domandato alla Corte di giustizia se il principio di libera prestazione dei servizi osta all’introduzione dell’obbligo di iscrizione al ROC in questione.
Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Consultazione AgCom sulle Linee guida per l’applicazione del Regolamento P2B”.