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Quali sono le conseguenze, per i professionisti, e per i consumatori, di un abuso del diritto di recesso, particolarmente frequente nel settore della moda?

L’art. 52 del Codice del Consumo, dispone che il consumatore è titolare del c.d. diritto di ripensamento, ovvero ha un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali (e.g., nel contesto degli e-commerce), senza dover fornire alcuna motivazione o giustificazione in merito al suo recesso. La ratio del diritto di recesso è quella di garantire ai consumatori la possibilità di rivalutare il proprio acquisto, una volta ricevuto lo stesso, senza dover fornire una motivazione, dato che al momento della conclusione del contratto non ha avuto la possibilità di visionare il bene nella sua interezza, proprio per la posizione di debolezza del consumatore rispetto al professionista.

Il settore del c.d. fast fashion, ovvero quel modello di produzione e di consumo di abbigliamento che si basa sulla produzione rapida di grandi quantità di capi di abbigliamento a prezzi accessibili, è particolarmente esposto a casi di ripensamento, in quanto i prodotti sono spesso economici e destinati ad un uso a breve termine, e pertanto sono anche più soggetti ad acquisto meno ragionati da parte dei consumatori. Non solo, diverse piattaforme di vendita al dettaglio hanno acquisito popolarità proprio per le loro politiche particolarmente favorevoli in tema di diritto di recesso, che hanno permesso ai consumatori un alleggerimento rispetto ai loro (seppur pochi) obblighi di cui al Codice del Consumo, fattore particolarmente importante in un settore in cui i tassi di reso possono arrivare fino al 50%.

Tuttavia, la facilità con cui oggi è possibile restituire i capi, e le condizioni favorevoli consentite dagli e-commerce – che spesso si traducono in una lotta al ribasso tra piattaforme a chi “concede di più” – hanno portato alla generazione di un fenomeno che si presenta come particolarmente insidioso per i professionisti, ovvero un abuso del diritto di recesso da parte dei consumatori. Non però tutti i professionisti hanno le capacità organizzative ed economiche per fronteggiare grandi quantità di resi: l’abuso del diritto di recesso può comportare infatti un aumento dei costi di gestione delle restituzioni, nonché una diminuzione del valore dei prodotti resi, che spesso non possono essere venduti a prezzo pieno a causa dell’usura o dei danni subiti durante l’uso o il trasporto. Da questo ne scaturisce un tema anche in termini di sostenibilità, in quanto i resi possono comportare un aumento dei costi di produzione e dei rifiuti prodotti nonché un incentivo per i produttori a realizzare capi di bassa qualità, con un impatto ancora maggiore sull’ambiente.

Al fine di arginare possibili abusi del diritto di recesso da parte dei consumatori, alcuni professionisti hanno pensato di adottare alcune misure limitanti nei confronti dei consumatori, come ad esempio politiche di restituzione più restrittive. Tali pratiche, sono però recentemente sfociate nell’emissione di una sanzione per oltre 5 milioni di euro ad una nota società di e-commerce. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”) ha infatti sanzionato tale piattaforma a causa dell’annullamento unilaterale di ordini in caso di superamento di determinate soglie di resi conseguenti all’esercizio del diritto di recesso.

Dalle evidenze acquisite, AGCM attesta che l’e-commerce .procedeva al reiterato annullamento unilaterale degli ordini online dei consumatori conseguenti all’esercizio del diritto di recesso ai sensi del Codice del Consumo, inibendone la facoltà di effettuare ulteriori acquisti sul sito, in ragione di una precisa policy aziendale, finalizzata a limitare il numero di resi. Il tema su cui si è però focalizzata AGCM non era tanto il fatto che la piattaforma avesse limitato la possibilità di esercitare il diritto di recesso, ma quanto che questo non fosse stato prospettato al consumatore né in una fase precedente agli acquisti, né successivamente. Questo provvedimento, infatti, sembra aprire la strada a possibili limitazioni del diritto di ripensamento, fintanto che queste siano prospettate in modo chiaro e trasparente al consumatore.

In conclusione, l’abuso del diritto di recesso rappresenta un problema significativo per il settore del fast fashion, sia per i consumatori, ai quali potrebbero essere applicate significative limitazioni sugli acquisti, sia per i professionisti, i quali potrebbero non riuscire a fronteggiare grandi quantità di resi. È necessario, pertanto, trovare un equilibrio tra il diritto del consumatore di recedere dal contratto e la necessità di garantire la sostenibilità del settore, la qualità dei prodotti offerti e la tutela dei diritti dei consumatori stessi.

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