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In data 7 febbraio 2019, il Tribunale di Milano si è pronunciato circa l’opposizione mossa dalla parte attrice contro l’atto di precetto, supportato da apposito titolo esecutivo fissato in ordinanza cautelare, della parte convenuta in giudizio. Nel caso di specie, la parte convenuta, all’esito di un procedimento urgente ante causa, aveva ottenuto a tutela di un proprio modello di proprietà industriale l’imposizione in capo alla parte attrice di obblighi di non fare, attraverso l’ordine inibitorio, e di fare, attraverso il ritiro dal commercio e al riacquisto della merce contraffatta. Al mancato adempimento di tali obbligazioni era prevista l’applicazione di una penale. Il Tribunale, con la sentenza in oggetto, ha colto l’occasione per soffermarsi su due questioni: da un lato, l’interpretazione della figura dell’astreinte o penalità di mora, introdotta dal legislatore con la novella del 2009 all’articolo 614 bis del cpc, dall’altro sulla natura dell’ordine di ritiro al commercio. Sotto il primo profilo, i giudici milanesi hanno affermato come la penale di mora nel nostro ordinamento costituisca titolo esecutivo, discostandosi dal modello francese dove invece l’astreinte non può essere portata ad esecuzione se non previa liquidazione delle somme dovute. Tale interpretazione, a parere dei giudici, è supportata anzitutto dal tenore letterale dello stesso articolo 614 bis cpc; in secondo luogo dai principi costituzionali che impongono la necessità di garantire una ragionevole durata del processo e l’effettività della tutela giurisdizionale; ma anche dall’impianto del sistema codicistico che tende a “de-giurisdizionalizzare” le fonti di produzione di titoli esecutivi; ed infine anche alla luce degli indirizzi di legittimità maturati nel settore della proprietà industriale che, con riferimento alla previgente disciplina ex art. 66 r.d. n. 929/1942, già ritenevano che la somma determinata per il ritardo nell’esecuzione dei provvedimenti contenuti nella sentenza fosse un’obbligazione attuale dal momento della sua pubblicazione. Per quanto concerne invece l’ordine di ritiro dal commercio di res contraffattorie, il Tribunale ha affermato che siffatto ordine vada interpretato quale obbligo a carico del soggetto passivo di attivarsi presso la propria rete di clientela diretta per impedire l’ulteriore commercializzazione della merce, obbligo che non si estenderebbe invece ai successivi acquirenti o agli aventi causa della rete vendita dell’obbligato. Inoltre, ribadiscono i giudici, a seconda delle modalità in cui si articola suddetta rete, l’obbligazione può essere alternativamente di mezzi – nel caso in cui il rapporto commerciale tra il contraffattore con gli aventi causa ha determinato il trasferimento della proprietà della res in capo a soggetti autonomi sotto il profilo negoziale o societario – o di risultato – ne caso in cui la rete vendita sia direttamente controllata dall’obbligato.

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