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La società Brave Software, titolare del motore di ricerca Brave, ha presentato ricorso alla Data Protection Commission irlandese (“DPC”) accusando Google di aver violato le disposizioni del GDPR relative alla limitazione delle finalità del trattamento dei dati personali.

La questione trova fondamento proprio nel dettato normativo del GDPR, nel quale si richiede espressamente che i titolari del trattamento indichino le finalità per le quali i dati personali vengono raccolti e che questi si limitino a trattarli soltanto per le specifiche finalità dichiarate agli interessati. Diversamente, nel reclamo in oggetto, viene contestato il linguaggio “vago” con cui Google illustra le finalità del trattamento all’interno delle proprie policies, il che permetterebbe al colosso del web di utilizzare i dati degli utenti, di fatto, senza particolari limiti. In altre parole, i dati, una volta raccolti con riferimento ad un servizio, entrerebbero a far parte di un hub unico, venendo impiegati indiscriminatamente dalla società americana per servizi e offerte diverse rispetto a quelle per le quali i dati erano stati originariamente raccolti, e quindi trattandoli per finalità e su basi legali non sempre chiare all’utente finale.

Al fine di far luce sulle modalità di trattamento dei dati da parte di Google, il Chief Policy & Industry Relations Officer di Brave, Johnny Ryan, ha posto una semplice domanda al gigante californiano: “Cosa fate con i miei dati?”. Ebbene, Brave afferma – riportando nel reclamo lo scambio di corrispondenza avvenuto con Google – che il big dei dati non è stato in grado di fornire risposte soddisfacenti. Pertanto, trattandosi chiaramente di un modus operandi contrario ai principi contenuti nella normativa in materia di trattamento dei dati personali, Brave ha ritenuto opportuno presentare ricorso all’Autorità garante irlandese, chiedendo di imporre a Google l’obbligo di fornire una lista completa e dettagliata delle finalità per le quali i dati personali vengono trattati e le rispettive basi giuridiche che ne giustificano il trattamento, così da poter chiarire le modalità con cui i dati personali dei miliardi di utenti vengono utilizzati dal colosso del web. Qualora le accuse di Brave si rivelassero fondate, Google sarebbe tenuto a operare un vero e proprio stravolgimento delle proprie modalità di trattamento dei dati, dovendo rimuovere ogni forma di combinazione e uso incrociato non esplicitamente autorizzato dagli utenti e dovendo altresì introdurre precisi sistemi di separazione funzionale dei trattamenti effettuati, in modo da riportare in capo agli interessati il controllo effettivo sui propri dati personali.

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