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Il dibattito emerso dopo il lancio dell’App di Covid-19 contact tracing Immuni ha dato rilevanza all’importanza di un giusto approccio di legal design.Fra le immagini utilizzate per la grafica di Immuni – l’applicazione mobile promossa dal Governo italiano per contenere i contagi da Covid-19 e appena pubblicata sugli store di Apple e Google – quella ricorrente strizza l’occhio alla famiglia stereotipata: lui al computer, in modalità smart working, e lei dedita ad accudire il figlio. Si tratta di un’immagine che ha sollevato sin da subito non poche polemiche sui social network; per molti, infatti, l’immagine, attribuendo alla donna il ruolo standard di mamma e casalinga, richiama una fotografia antica e sessista della società. Polemiche che hanno addirittura portato gli sviluppatori dell’app ad apportare, in corsa, le modifiche richieste a gran voce dal popolo del web.

Il caso Immuni dimostra quanto sia importante la scelta della grafica per veicolare messaggi e contenuti digitali, soprattutto se con le immagini si vuole trasmettere un messaggio alla comunità. Immuni, infatti, è una app di proiezione collettiva che sarà in grado di dare i risultati sperati solo se tutti decideranno di condividerne lo scopo. Proprio per tale ragione, l’app deve essere pensata per rivolgersi in maniera intuitiva, facilmente fruibile ed inclusiva all’intera comunità, composta da diverse sfumature e sfaccettature. Basta un’immagine mal concepita, dunque, per trasmettere un messaggio diverso o addirittura opposto da quello che l’app aveva lo scopo di veicolare nella realtà, creando un effetto boomerang. Pertanto, ogni dettaglio deve essere studiato con cura, inclusi testo e immagini che possono fare la differenza e segnare il successo – o decretare la rovina – dell’app.

Proprio con questo obiettivo nasce il legal design, ovvero la disciplina che cerca di ripensare in termini visual il linguaggio e gli strumenti nell’ambito legale al fine di rendere il tutto più accessibile anche per gli utenti che non provengono da una formazione o esperienza giuridica. In termini generali, quindi, il legal design si ispira a metodologie di design thinking e user experience, già utilizzate soprattutto nel mondo della comunicazione e del marketing, per rendere i concetti legali più accattivanti. Tali metodologie tendono a mantenere un approccio umano centrico, ovvero in cui gli utenti sono posti al centro della progettazione e dell’erogazione dei servizi per migliorarne l’esperienza, semplificando il linguaggio e rendendo alcuni processi lontani dalla quotidianità più vicini a qualsiasi tipologia di utente.

Il Regolamento UE 679/2016 – più comunemente conosciuto dalla platea di esperti e non come “GDPR” – ha codificato per primo tale concetto, identificandolo – per il mondo legale legato alla privacy – nel principio di privacy by design & by default. Secondo tale principio l’utente deve essere considerato e coinvolto in maniera efficace sin dalla progettazione di una nuova iniziativa al fine di costruire servizi, prodotti e applicazioni che possano finalmente trasmettere all’utente trasparenza e controllo della situazione rispetto al trattamento dei suoi dati personali, piuttosto che senso di inadeguatezza e frustrazione di fronte a temi ed argomenti di difficile comprensione.

Per Margaret Hagan, ispiratrice del Legal Design Lab della Stanford Law School di emanazione della Stanford University, infatti, il primo aspetto da considerare nella progettazione di un prodotto, servizio o messaggio (ad esempio, nel caso di documenti, procedure, informative, soprattutto se pubblicate sul web) è il destinatario del prodotto o servizio studiato, sulla cui capacità di comprendere il messaggio, anche “giuridico”, si deve basare l’architettura complessiva del progetto.

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