Quale parte delle DLA Piper IPT Predictions per il 2021, analizziamo in questo articolo le nostre previsioni sulle principali sfide legali del settore Fashion & Retail.
Come è noto l’industria della moda si basa su un calendario stagionale e una rete di aziende estremamente interconnesse che ne formano la supply chain. Tali caratteristiche hanno fatto sì che tale settore sia stato uno dei più colpiti dalla pandemia. Non stupisce infatti che la maggior parte delle aziende da noi intervistate, in particolare il 53,33%, abbia dichiarato che la pandemia ha comportato perdite significative. Al contrario, però, il 13,33% ha sperimentato un aumento delle entrate. Da tali dati può concludersi che il mondo della moda ha subito gravi perdite, ma si sta reinventando velocemente. Come confermato dal 33,33% delle aziende che hanno partecipato alla nostra indagine, l’industria della moda sta affrontando un cambiamento radicale del proprio modello di business.
In particolare, il 73,3% delle aziende di moda intervistate ha dichiarato che sta investendo nella trasformazione digitale per offrire ai propri clienti prodotti e servizi innovativi, con l’obiettivo di offrire un’esperienza di acquisto rinnovata ai clienti. Tra questi, ad esempio, ci sono i nuovi assistenti virtuali e servizi di e-concierge, forniti anche attraverso chatbot, che interagiscono con i clienti e permettono loro di provare i vestiti – anche da casa – grazie a fitting room interattive, che danno feedback o consigli sugli outfit dei clienti. In tale contesto, un ruolo fondamentale è giocato dai dati raccolti dai siti web delle aziende e dagli e-store. Dai dati personali raccolti, le aziende sono in grado di profilare i clienti, i loro interessi e gusti al fine di proporre loro un servizio su misura. Tuttavia, quando le aziende di moda offrono tali servizi ai clienti europei, devono fare i conti con il quadro legislativo applicabile in materia di protezione dei dati, che comprende il Regolamento UE sulla protezione dei dati personali (“GDPR”) e le leggi nazionali che ne derivano, nonché i requisiti sull’installazione e sull’utilizzo dei cookie stabiliti dall’UE e dalle autorità nazionali competenti.
Le aziende di moda devono quindi considerare attentamente quale tipo di dati raccogliere al fine di rispettare i principi e i requisiti di protezione dei dati. Ad esempio, devono raccogliere e trattare – per il tempo strettamente necessario – solo i dati personali necessari per le finalità del trattamento in base al principio di minimizzazione previsto dall’articolo 5 del GDPR. Inoltre, l’analisi dei dati relativi agli interessi e ai gusti del cliente comporta un’attività di profilazione che richiede la raccolta del consenso dell’interessato. Anche l’installazione di alcuni cookie (ad esempio i cookie di pubblicità comportamentale) richiede un consenso specifico e attivo da parte degli utenti che navigano su siti web e negozi elettronici, che non può essere fornito attraverso una casella di controllo pre-selezionata.
Oltre all’esperienza di shopping dei clienti, anche la presentazione delle collezioni di moda sta cambiando. In particolare, le sfilate di moda virtuali, trasmesse in streaming come film liberamente accessibili, pongono nuovi problemi legali, posto che ora più che mai sono il risultato del lavoro di un elevato numero di collaboratori. Ne deriva che le sfilate potrebbero ricadere sotto due diversi regimi, entrambi previsti dalla Legge sul Diritto d’Autore (“LDA”) per le opere realizzate da più di un collaboratore. Se consideriamo la sfilata in streaming come una “opera composta”, in cui le varie parti non sono separabili, ai sensi dell’art. 10(1) LDA il diritto d’autore spetterà a ciascun coautore delle componenti, rientrando nel regime di comunione. Se invece la consideriamo come “opera collettiva”, definita come l’unione di opere o parti di opere di autori diversi che sono creazioni autonome, riunite come risultato della scelta e del coordinamento per un determinato scopo, ai sensi dell’articolo 7 LDA, l’autore è considerato chi organizza e dirige la creazione dell’opera stessa. Nel caso della passerella virtuale, l’autore è quindi verosimilmente il videomaker appositamente incaricato di realizzare il video sulla base delle indicazioni del fashion director.
Pertanto, data l’incertezza nell’applicazione dei regimi dell’opera composta o collettiva, se la casa di moda vuole acquisire i diritti di proprietà intellettuale sul video della sfilata, deve garantire il trasferimento di tutti i diritti economici sulla sfilata non solo da parte del videomaker, ma anche di tutti i collaboratori rilevanti (compresi i creatori della musica originale e della scenografia).
Da ultimo, la sempre più diffusa creazione di avatar che assomigliano a personaggi celebri nei videogiochi e in altre piattaforme pone il problema dei diritti d’immagine. Per la giurisprudenza italiana, la tutela del diritto d’immagine si estende fino a comprendere anche elementi non direttamente riconducibili alla persona stessa, come l’abbigliamento, gli ornamenti, il trucco e altri che, per la loro peculiarità, richiamano immediatamente nella percezione dello spettatore la persona stessa a cui tali elementi sono ormai indissolubilmente legati. Pertanto, anche l’utilizzo di sosia, se finalizzato a richiamare chiaramente l’immagine di un personaggio noto a fini promozionali, costituisce una violazione del diritto allo sfruttamento economico dell’immagine e deve essere necessariamente autorizzato dai legittimi proprietari.
È possibile leggere le predictions sul fashion e retail insieme alle altre nostre predictions per il 2021 al link disponibile QUI e su di un simile argomento potete ascoltare il podcast “Le criticità e le prospettive dell’influencer marketing con Alessandra De Tomaso di Mademoiselle Arabia“.