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Il Garante si esprime sui passaporti vaccinali, giudicandoli illegittimi in assenza di una legge. Con un recente comunicato, il Garante per la protezione dei dati personali si è espresso circa i rischi inerenti all’implementazione di soluzioni, anche digitali (es. app), per rispondere all’esigenza di considerare lo stato vaccinale del cittadino quale condizione per l’accesso a determinati locali o per la fruizione di taluni servizi (es. aeroporti, hotel, stazioni, palestre).

Il Garante ha richiamato in prima istanza l’attenzione dei decisori pubblici e degli operatori privati all’obbligo di conformità alla disciplina in materia di dati personali nella valutazione di predette soluzioni. “I dati relativi allo stato vaccinale” – asserisce il Garante – “sono dati particolarmente delicati e un loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali”.

Il trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale di una persona ai fini dell’accesso a determinati locali o per la fruizione di taluni servizi, deve “essere oggetto di una norma di legge nazionale, conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali (in particolare, quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati), in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza”.

Pertanto, in assenza di tale eventuale base giuridica normativa, il Garante sottolinea come l’utilizzo di qualsivoglia forma di passaporto vaccinale (sia digitale che fisico) debba considerarsi illegittimo.

Il 1° marzo 2021, con comunicato pubblicato sul sito del Garante, la Vice-Presidente dell’Autorità Ginevra Cerrina Feroni era già intervenuta sullo stesso tema evidenziando come, alla luce dell’articolo 32 della Costituzione ed in assenza di un obbligo alla vaccinazione imposto dalla legge, non siano ammissibili forme alcune di discriminazione, nel senso di limitazione e compressione di diritti in danno di soggetti che non abbiano ancora potuto vaccinarsi o rinunzino alla copertura vaccinale.

Secondo la Vice-Presidente dell’Autorità, la previsione di un pass/certificato recante informazioni sullo stato vaccinale del cittadino al fine di consentirne l’accesso, riservato o privilegiato in determinati luoghi e la fruizione di determinati servizi incidenti sul libertà costituzionalmente garantite introdurrebbe direttamente un trattamento discriminatorio e sanzionatorio per i non vaccinati e, in forma surrettizia, l’obbligo del vaccino.

In ultima istanza, la Vice Presidente precisa: “un tale obbligo, con le correlate ‘sanzioni’, non potrebbe che essere il frutto di una chiara scelta legislativa statuale” e “non certo quello dell’iniziativa estemporanea, pur animata dalle migliori intenzioni, di singole istituzioni pubbliche o di operatori privati”.

Su un simile argomento, può essere interessante l’articolo: “Il Garante privacy pubblica le FAQ sull’emergenza da COVID-19”.

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