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Secondo il Consiglio di Stato, Facebook non può pubblicizzare il proprio servizio come gratuito, e l’utente deve essere informato sulla commercializzazione dei suoi dati. Con sentenza n. 2631/2021 del 29 Marzo, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato dalla società Facebook Ireland Limited nei confronti del provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) n. 27432 adottato il 29 novembre 2018, già impugnato di fronte al Tar del Lazio. Il Consiglio di Stato ha evidenziato che Facebook lascia supporre che sia possibile ottenere immediatamente e in modo gratuito i vantaggi offerti dalla piattaforma, ma omette di comunicare che, invece, ciò potrà avvenire solo se – e fino a quando – i dati dell’utente saranno condivisi con partner commerciali terzi per finalità di profilazione e di marketing.

Nel 2018, in seguito del procedimento istruttorio, l’AGCM aveva contestato alle società Facebook Inc. e Facebook Ireland Limited la messa in campo di due distinte pratiche commerciali scorrette in violazione degli artt. 20, 21, 22, 24 e 25 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (il cd. “Codice del consumo”):

  • da un latouna pratica ingannevole, in quanto Facebook “non informerebbe adeguatamente e immediatamente l’utente, in fase di attivazione dell’account, dell’attività di raccolta e utilizzo, per finalità informative e/o commerciali, dei dati che egli cede, rendendolo edotto della sola gratuità della fruizione del servizio, così da indurlo ad assumere una decisione che non avrebbe altrimenti preso (registrazione e permanenza sulla piattaforma)”;
  • dall’altro una pratica aggressiva, sostanziata nell’esercizio di “un indebito condizionamento nei confronti dei consumatori registrati, i quali, in cambio dell’utilizzo di Facebook, verrebbero costretti a consentire a Facebook/terzi la raccolta e l’utilizzo, per finalità informative e/o commerciali, dei dati che li riguardano in modo inconsapevole e automatico, tramite un sistema di preselezione del consenso alla cessione e utilizzo dei dati”;

Nel gennaio del 2020, il Tar del Lazio aveva accolto parzialmente il ricorso presentato da Facebook, respingendo le valutazioni relative alla seconda pratica. Facebook, d’altro canto, si è adeguata solo in parte al provvedimento, eliminando riferimenti al carattere gratuito del social network (“Iscriviti. È gratis e lo sarà per sempre”), senza fornire chiare indicazioni circa l’uso commerciale dei dati degli utenti.

Sono numerosi gli spunti sollevati dalla decisione del Consiglio di Stato che, nella parole di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, apre interrogativi sui massimi sistemi di privacy e data economy.

In primo luogo, affrontando il tema della non commerciabilità del dato, il Consiglio di Stato dissente dall’interpretazione del concetto di “dato personale” avanzato da Facebook. Il social network, infatti, sostiene che i dati personali costituiscano una “res extra commercium”, diritti fondamentali della persona non riducibili ad un mero interesse economico. Divergente, come accennato, è l’opinione del Collegio: “la patrimonializzazione del dato personale, che nel caso di specie avviene inconsapevolmente, costituisce il frutto dell’intervento delle società attraverso la messa a disposizione del dato – e della profilazione dell’utente – a fini commerciali”.

Sulle convergenze tra diritto consumeristico e privacy, il giudice precisa che, “allorquando il trattamento investa e coinvolga comportamenti e situazioni disciplinate da altre fonti giuridiche a tutela di altri valori e interessi (altrettanto rilevanti quanto la tutela del dato riferibile alla persona fisica), l’ordinamento – unionale prima e interno poi – non può permettere che alcuna espropriazione applicativa di altre discipline di settore, quale è quella, per il caso che qui interessa, della tutela del consumatore, riduca le tutele garantite alle persone fisiche”. L’esigenza prevalente, pertanto, è quella di garantire “presidi multilivello” allo sfruttamento del dato reso disponibile dall’utente in favore di terze parti, fornendo informazioni adeguate all’interessato-utente-consumatore sull’uso della “piattaforma informatica”.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato, sulle fondamenta degli artt. 2, comma 2, lett. c), c-bis), e) ed art. 5, comma 3, del Codice del Consumo, sottolinea come Facebook induca l’utente a credere che sia possibile ottenere immediatamente e facilmente, ma soprattutto in modo “gratuito” il vantaggio collegato dal ricevimento dei servizi tipici di un social network senza oneri economici, omettendo di comunicare che, invece, ciò avverrà (e si manterrà) solo se (e fino a quando) i dati saranno resi disponibili a soggetti commerciali non definibili anticipatamente ed operanti in settori anch’essi non pre-indicati per finalità di uso commerciale e di diffusione pubblicitaria. Tanto basta per confermare le valutazioni dell’AGCM in materia di obblighi di chiarezza e pratiche ingannevoli.

A fronte della promessa gratuità del servizio, evidenzia il Consiglio di Stato, l’utente è indotto ad accedere a Facebook per ottenere i vantaggi “immateriali” costituiti dall’adesione e coinvolgimento in un social network. Sebbene il trattamento dei dati forniti possa essere interrotto mediante la revoca del consenso, ciò può avvenire solo in epoca successiva e a fronte di una capillare indicazione degli svantaggi conseguenti.

In altre parole il rimprovero rivolto dal Consiglio di Stato a Facebook consisterebbe nel non aver informato l’utente, che in questo caso si trasforma tecnicamente in “consumatore”, della contropartita connessa alla coinvolgimento nel social network che non lo rende gratuito: un’automatica profilazione ad uso commerciale, non chiaramente ed immediatamente indicata, all’atto del primo accesso.

Puoi consultare la sentenza n. 2631/2021 del Consiglio di Stato QUI. Su un argomento simile, potrebbe interessarti: “Facebook vs Agcm: la pronuncia del Tar del Lazio sul valore dei dati

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