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La Corte di Cassazione è intervenuta in materia di contraffazione del software alla luce della legge sul diritto d’autore con sentenza n. 20250/2021 in caso di codici sorgenti diversi tra due software.

La vicenda giudiziaria ha riguardato un software sviluppato al fine di consentire lo scrutinio elettronico. In particolare, la tecnologia in oggetto permetteva di (i) identificare l’elettore, (ii) attestarne il diritto di voto, (iii) effettuare lo spoglio delle schede elettorali, (iv) elaborare i dati e (v) trasmettere i risultati della votazione.

Ai sensi dell’art. 2, n. 8, della Legge sul diritto d’autore, le idee ed i principi alla base di un programma informatico non sono protetti. Per contro, ad essere suscettibile di protezione quale opera dell’ingegno è il codice sorgente. Da ciò deriva che non è di per sé illecito realizzare un nuovo software che soddisfi le medesime (o affini) esigenze funzionali di un software già in uso.

Guardando ai fatti di causa, la società sviluppatrice del software aveva stipulato con altra società un contratto di cessione di 1250 licenze d’uso del programma “Seggio Elettorale Elettronico e-voto”, nell’ambito del quale si prevedeva, tra l’altro, il divieto di sfruttamento o imitazione del software.

In primo grado, la società sviluppatrice del software aveva chiesto di condannare la licenziataria al ristoro dei danni subiti per la condotta di quest’ultima che, già cessionaria delle suddette licenze, si era, a suo dire, illecitamente appropriata della procedura di utilizzo, cedendone alla committenza pubblica l’uso per un numero illimitato di licenze a tempo indeterminato. Invocava nondimeno la violazione dell’art. 64-quater della Legge sul diritto d’autore, imputando alla licenziataria di aver meramente rielaborato la struttura originaria e dunque imitato il software sviluppato.

La società sviluppatrice si è vista rigettare la domanda in primo grado e respingere il proposto gravame in secondo grado, sull’assunto secondo cui le differenze tra i prodotti sviluppati rispettivamente dall’una e dall’altra parte “appaiono evidenti dal punto di vista della loro espressione formale costituita dai programmi sorgenti” e, pertanto, il software della licenziataria non può essere ritenuto una contraffazione del software e-voto.

Giunta la questione in Cassazione, la Suprema Corte, nel confermare le pronunce di merito, ha precisato che, nel caso di specie, non è ravvisabile nel software realizzato dalla società licenziataria “il nucleo centrale dell’opera protetta che rende sanzionabile l’attività riproduttiva altrui, facendo invero difetto quell’identità espressiva tra i due programmi messi a confronto in ragione del quale si possa ritenere che quello successivo costituisca una riproduzione abilmente mascherata di quello antecedente e non piuttosto un modo di interpretare in maniera originale il medesimo tema informatico“.

Pertanto, ad avviso della Cassazione, non si ritiene integrata un’ipotesi di contraffazione nel caso in cui due software, pur perseguendo la medesima finalità, siano contraddistinti da codici sorgenti differenti e, dunque, distinti nella loro forma espressiva.

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