Con una recente decisione, la Seconda Commissione di Ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (“EUIPO”) ha confermato l’accoglimento parziale dell’opposizione presentata da una nota azienda di abbigliamento intimo avverso una domanda di marchio europeo denominativo per prodotti identici, pronunciandosi sulla confondibilità tra marchi e dando rilevanza alla somiglianza visiva e fonetica.
Nel febbraio 2013, una tra le principali aziende note nel settore dell’abbigliamento intimo depositava opposizione sulla base di un marchio europeo anteriore dinanzi all’EUIPO avverso una domanda di marchio denominativo, depositata in relazione alle classi di prodotti 18, 25 e 26. L’opposizione trovava il proprio fondamento nel rischio di confusione (articolo 8, pa 1, lett. b), RMUE), lamentando l’opponente la somiglianza tra i segni oltre che l’identità dei prodotti rivendicati. Tuttavia, nel 2016 l’opposizione veniva totalmente respinta.
Nello specifico, in sede di confronto tra i segni denominativi coinvolti, la Divisione d’Opposizione concludeva per la non confondibilità degli stessi, riconoscendo alle notevoli differenze visive esistenti uno speciale rilievo nella valutazione del rischio di confusione, al punto di rendere meno rilevanti le maggiori somiglianze fonetiche e l’identità delle classi. A tal proposito, in questa sede può essere utile ricordare uno dei principi applicati in riferimento alla classe 25, secondo il quale, generalmente, sebbene la comunicazione orale relativa al prodotto e al marchio non sia esclusa, la scelta di un capo di abbigliamento avviene su base visiva. Pertanto, la percezione visiva dei marchi in questione interverrà, di norma, prima dell’atto di acquisto e rivestirà, perciò, maggiore importanza nella valutazione globale del rischio di confusione.
Successivamente, l’opponente presentava ricorso avverso la suddetta decisione, in seguito accolto dalla Commissione di Ricorso che ha rinviato il caso alla Divisione di Opposizione per il proseguimento della procedura. Nel dettaglio, la Commissione evidenziava che, contrariamente a quanto effettuato nella prima decisione impugnata, fosse opportuno focalizzare l’esame del rischio di confusione sul pubblico che è più portato a confondere i segni, non rilevando negli stessi distinzioni concettuali.
Chiamata nuovamente a decidere, la Divisione accoglieva parzialmente l’opposizione, in ragione del rischio di confondibilità tra i marchi di abbigliamento ravvisato in riferimento a una parte dei prodotti compresi nella classe 25, rispetto ai quali quindi la domanda veniva rifiutata. Nello specifico, in tale sede veniva confermata la somiglianza visiva tra i segni, sebbene ridotta, e posta maggiore attenzione sulla somiglianza dal punto di vista fonetico, alla luce dell’inclusione dell’unico elemento distintivo del marchio impugnato nella pronuncia del marchio anteriore, determinata dalla pronuncia altamente simile delle lettere “I” e “Y” nelle lingue di riferimento. Diversamente, sotto il profilo concettuale, nessun elemento utile veniva individuato ai fini della comparazione, essendo gli elementi distintivi dei segni privi di significato e dunque destinati ad essere percepiti come termini di fantasia e, in quanto tali, ininfluenti ai fini dell’esame della somiglianza fra segni.
Nel settembre 2018, la richiedente presentava a sua volta ricorso avverso tale seconda decisione, chiedendone l’annullamento parziale nella misura in cui la domanda di marchio era stata rifiutata. Tuttavia, il ricorso veniva respinto dalla Seconda Commissione di Ricorso, che confermava le conclusioni della decisione impugnata. Nello specifico, la Commissione concludeva similmente alla Divisione di Opposizione in merito alla prova dell’uso del marchio anteriore, giudicandola sufficiente. In sede di valutazione globale, riconosceva la sussistenza del rischio di confusione, tra gli altri elementi, sulla base della ridotta somiglianza visiva e della somiglianza fonetica di grado medio riscontrate tra i segni come anche in considerazione del fatto che tali somiglianze non sono controbilanciate da alcuna differenza concettuale per il pubblico di riferimento.
Sapete di più sulla practice di DLA Piper sulla gestione del portfolio IP a questo LINK.
Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Somiglianza fonetica tra marchi e rischio di confusione per i consumatori“.