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La CGUE ha deciso che l’uso del marchio DOP “Feta” per un prodotto non conforme al relativo disciplinare, nel caso di specie la feta danese, integra violazione della DOP, anche se il prodotto è destinato all’esportazione verso un paese terzo in cui la DOP non è riconosciutaLa recente sentenza della CGUE sulla causa C-159/20 sembra, finalmente, porre fine all’odissea della “feta” che dura ormai da anni.

Per la CGUE non ci sono dubbi: il Regno di Danimarca è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento UE n. 1151/2012. Qualsiasi uso della DOP “Feta” per la feta danese, ovvero un prodotto non conforme al relativo disciplinare, integra violazione della DOP, anche se il prodotto è destinato all’esportazione verso un paese terzo in cui la DOP non è riconosciuta.

La designazione “Feta” o “Φέτα” è una denominazione di origine protetta (DOP) registrata sin dal 15 ottobre 2002, che può essere utilizzata esclusivamente con riferimento a formaggi nati dall’unione del latte di pecora e quello di capra che presentano determinate caratteristiche dovute all’ambiente geografico – compresi i fattori naturali e umani – e le cui fasi di preparazione, dalla produzione del latte, alla salatura e alla lavorazione finale del formaggio, avvengono in un’area geografica precisamente definita nella Grecia continentale, nel Peloponneso, in Tessaglia, nell’Epiro, in Macedonia, nella Tracia e nella prefettura di Lesbo.

Pertanto, solo i formaggi prodotti nel territorio ellenico sopra definito e nel rispetto del Disciplinare del marchio DOP Feta possono essere venduti come “Feta”.

Antefatto e il procedimento dinanzi alla Corte sulla feta e la sua protezione come DOP

Nel 2018 le autorità elleniche avevano segnalato alla Commissione europea che diverse imprese danesi esportavano verso paesi extra-UE formaggi con le denominazioni “Feta”, “Feta danese” e/o “formaggio Feta danese” non conformi al disciplinare della DOP “Feta”,

In risposta alla contestazione della Grecia, il Regno di Danimarca sosteneva che la normativa sull’uso della DOP era da applicarsi solo ai prodotti venduti negli Stati membri e quindi nel territorio europeo esclusi i mercati dei Paesi terzi in cui la denominazione “Feta” non è protetta e lamentando, inoltre, che il divieto di esportazione avrebbe integrato un ostacolo al commercio.

In data 26 gennaio 2018, pertanto, la Commissione ha inviato al Regno di Danimarca una lettera di messa in mora, contestando la violazione dell’articolo 13 del Regolamento (UE) n. 1151/2012, nonché dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, non avendo quest’ultimo prevenuto o fatto cessare l’uso della denominazione “Feta” per formaggio prodotto in Danimarca ma destinato all’esportazione verso paesi terzi.

Il Regno di Danimarca, tuttavia, ha mantenuto la propria posizione, ribadendo che l’ambito di applicazione del Regolamento (UE) n. 1151/2012 fosse limitato alla vendita nell’Unione Europea, escludendo di conseguenza che le esportazioni verso Paesi terzi con cui l’Unione non aveva ancora stipulato un accordo internazionale che riconoscesse la protezione della DOP integrasse una violazione e insistendo che il divieto di esportazione integrasse un ostacolo al commercio e fosse contrario ai principi del libero scambio.

In tale contesto, in data 8 aprile 2020, la Commissione ha deciso di proporre ricorso innanzi alla Corte che ha successivamente autorizzato l’intervento della Repubblica ellenica e della Repubblica di Cipro a sostegno delle conclusioni della Commissione.

La Repubblica ellenica, infatti, rivendica da tempo l’unicità della propria specialità dalla consistenza semidura, dalla buona friabilità e dal gusto deciso e intenso. Il suo primo utilizzo, infatti, sarebbe da collocare alla fine dell’VIII secondo a.C. quando Omero ne parlò per la prima volta nel suo poema epico “Odissea”.

Sentenza della Corte di riconoscimento della feta come prodotto DOP

Sulla scia delle conclusioni dell’avvocato generale Tamara Ćapeta, nella propria sentenza del 14 luglio 2022, la Corte di giustizia europea ha definitivamente respinto la posizione del Regno di Danimarca, confermando che il regolamento UE sulle DOP e IGP tutela tutti i prodotti dell’Unione Europea compresi quelli destinati all’esportazione verso Paesi terzi.

Nello specifico, la Corte ha innanzitutto evidenziato la violazione dei diritti di proprietà intellettuale connessi alla denominazione di origine protetta da parte dei produttori danesi di formaggio non conforme al machio DOP Feta commercializzato come “Feta”.

Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalle autorità danesi, l’obiettivo principale della tutela delle DOP quali diritti di proprietà intellettuale è proprio quello di consentire ai produttori legati ad una determinata area geografica la possibilità di concorrere lealmente nel mercato (sia interno che esterno), garantendo al consumatore (sia europeo che extra-europeo) prodotti di alta qualità con caratteristiche che attribuiscono al prodotto un valore aggiunto.

Di conseguenza, anche l’uso di una DOP per designare un prodotto fabbricato sul territorio dell’Unione europea che non è conforme al disciplinare della DOP stessa viola nel territorio UE il diritto di proprietà intellettuale costituito da tale DOP, anche se il prodotto è destinato all’esportazione extra europea.

Alla luce di quanto sopra e avendo omesso di prevenire e di far cessare l’uso illecito del termine “Feta” ai produttori lattiero-caseari danesi, la Corte ha stabilito sulla prima censura sollevata dalla Commissione che il Regno di Danimarca è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento UE n. 1151/2012.

Per quanto riguarda invece la seconda censura sollevata dalla Commissione, sempre sulla scia delle conclusioni addotte dall’avvocato generale Ćapeta, la Corte ha ritenuto la stessa infondata.

La Commissione, infatti, effettua una disamina più ampia della circostanza e sostiene, da un lato, che il Regno di Danimarca avrebbe palesemente violato gli obblighi discendenti dall’articolo 13, nonché persino incoraggiato i produttori danesi all’uso illecito di tale denominazione, compromettendo così gli obiettivi comuni di tutti produttori agricoli e alimentari che concorrono lealmente nel mercato delle DOP e delle IGP per garantire una protezione adeguata di tali diritti di proprietà intellettuale e, dall’altro lato, che il Regno di Danimarca avrebbe indebolito la posizione dell’Unione Europea sul piano delle contrattazioni internazionali per la tutela delle DOP e delle IGP, nonché compromesso l’integrità della rappresentanza dell’Unione Europea in Paesi terzi.

Anche la Repubblica ellenica e quella di Cipro hanno sostenuto di comune accordo quanto dichiarato dalla Commissione.

Il Regno di Danimarca, tuttavia, si è giustificato asserendo che una interpretazione diversa del Regolamento non può essere tradotta in un inadempimento degli obblighi previsti.

Mancando le prove della Commissione a sostegno della propria contestazione basata sull’articolo 4, paragrafo 3, TUE, la seconda censura è stata quindi respinta.

La Corte, pertanto, ha accolto il ricorso della Commissione sulla base della prima censura e respinto lo stesso sulla base della seconda.

In conclusione, la sentenza evidenzia chiaramente la posizione della Corte in merito all’utilizzo improprio di DOP anche quando il prodotto non conforme è destinato all’esportazione verso Paesi esteri, che non riconoscono la DOP.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo “Come gestire il riferimento a DOP e IGP quando c’è incorporazione in prodotti trasformati”.

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