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Il fallimento di un exchange di cryptocurrency pone delle problematiche regolatorie rilevanti che abbiamo cercato di analizzare.

Recentemente abbiamo assistito alle tragiche vicende riguardanti il fallimento di grandi exchange di cryptocurrency, come FTX. Quando gli exchange hanno una operatività globale, la legislazione applicabile in caso di fallimento può differire a seconda del Paese di appartenenza delle diverse società controllate. Dal recente fallimento di uno dei più grandi exchange al mondo, che era titolare di una subsidiary sottoposta alla legislazione giapponese, abbiamo compreso che tale legislazione prevede particolari garanzie in favore degli investitori. Seguirà quindi un rapido esame delle misure previste dalla legislazione giapponese e il confronto con le principali problematiche relative al più recente caso verificatosi in Italia.

Il Giappone ha già affrontato svariate crisi nell’ambito di fallimento di exchange (con buchi di liquidità che corrispondono all’incirca a 900 milioni di dollari) e problematiche legate alla tutela degli investitori; per questo motivo, la relativa legislazione è stata profondamente integrata già nel maggio del 2019 con la modifica, tra gli altri, del Payment Service Act (PSA).

Ad oggi, a seguito delle suddette modifiche normative al PSA, le principali garanzie che devono essere prestate dall’exchange di cryptocurrency in tutela degli investitori sono:

  • la gestione separata dei fondi depositati dagli utenti da quello degli exchange affidando quanto depositato dagli utenti a, per esempio, una società fiduciaria;
  • il diritto di prelazione rispetto agli altri creditori in caso di fallimento, in favore degli investitori che hanno un rapporto contrattuale con l’exchange;
  • all’exchange è imposta una particolare misura in materia di cybersicurezza; in particolare, l’autorità di controllo giapponese ha stabilito che il 95% dei fondi appartenenti agli investitori dev’essere conservato in cold wallets (i.e. wallet hardware che offrono maggiori garanzie in caso di attacco informatico); e
  • un controllo annuale che dimostri che l’exchange si è conformato a tutti gli obblighi e requisiti previsti dalla normativa applicabile.

Nell’estate del 2019, in Italia, un grosso exchange dichiarava fallimento. Nel caso di specie, all’apertura delle procedure fallimentari, una delle principali difficoltà è stata la corretta identificazione dei creditori per l’insinuazione al passivo, poiché l’exchange non effettuava controlli circa il tracciamento degli indirizzi IP utilizzati dagli utenti per effettuare le transazioni.

Inoltre, le domande presentate dai creditori nell’ambito del fallimento dell’exchange non venivano accolte poichè quest’ultimo gestiva i propri fondi in modo indistinto all’interno di un unico hot wallet (ovvero assieme a quelli degli investitori in portafogli informaticamente meno sicuri rispetto i cold wallets), come è stato confermato dalla Corte d’Appello di Firenze.

Forse, una legislazione che tenga conto delle modalità attraverso cui gli exchange operano e gestiscono i propri fondi, sulla falsa riga di quella giapponese, potrebbe risultare maggiormente tutelante per gli investitori, specie in caso di fallimento dell’exchange.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo: “La Cassazione si pronuncia su qualifica dei crypto asset come prodotti finanziari”.

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