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La Procura di Milano sta indagando su Meta per mancato pagamento dell’IVA per i dati acquisiti dagli utenti all’iscrizione a Facebook, Instagram e WhatsApp che la società usa per scopo di lucro al fine di eseguire la pubblicità profilata. 

Si tratta di una indagine che potrebbe cambiare il settore della pubblicità online in Italia, ma anche a livello europeo, ma analizziamola nel quadro più ampio delle recenti contestazioni nei confronti di Meta sull’utilizzo dei dati dei propri utenti.

L’indagine della procura di Milano contro Meta per mancato pagamento dell’IVA sui dati profilati degli utenti

Sulla base delle informazioni al momento disponibili, il punto di vista della Procura di Milano è che le piattaforme social non siano gratuite come sembrano. Al momento dell’iscrizione, gli utenti pagano con i propri dati personali, che possono essere utilizzati per profilazione con una finalità pubblicitaria.

Secondo la Guardia di Finanza, lo scambio tra i dati forniti dagli utenti e i servizi digitali offerti da Meta tramite i propri social media che li utilizzano per la pubblicità online potrebbe essere soggetti a tassazione IVA poiché si tratta di una permuta tra beni differenti. E per calcolare l’imponibile, la Guardia di Finanza ha utilizzato un metodo particolare, basato sul rapporto tra i ricavi pubblicitari di fonte italiana e il totale dei ricavi pubblicitari di Meta Ireland e moltiplicandolo per i costi totali di Meta Ireland.

I precedenti relativi a Meta sulla gratuità dei servizi e la profilazione dei propri utenti

La controversia sulla gratuità dei servizi social di Meta non è una novità. Già nel 2018, l’AGCM aveva contestato a Facebook (ora Meta) di aver condotto pratiche commerciali scorrette, inducendo gli utenti a registrarsi senza informarli in fase di attivazione dell’account, dell’attività di raccolta, con intento commerciale, dei dati da loro forniti e, più in generale, delle finalità remunerative che sottendono la fornitura del servizio di social network, enfatizzandone la sola gratuità.

Con il provvedimento del 2018, l’AGCM condannava quindi il social media ad una sanzione di 10 milioni di euro, accompagnata dall’obbligo di pubblicare un messaggio informativo sulla piattaforma, e intimava alla società di presentare le iniziative assunte in ottemperanza del provvedimento. A questa sanzione, seguiva una ulteriore sanzione di 5 milioni di euro nel 2021 per mancata ottemperanza con l’ordine di AGCM poiché, secondo l’autorità, “il consumatore che si voglia registrare al social network continua a non essere informato con chiarezza e immediatezza in merito alla raccolta e utilizzo a fini commerciali dei suoi dati da parte della società”.

In un procedimento del tutto separato, lo European Data Protection Board poi ha contestato a Meta la possibilità di eseguire la profilazione dei propri utenti sulla base giuridica dell’esecuzione contrattuale, richiedendo che uno specifico consenso fosse invece ottenuto dai propri utenti. A seguito di questa presa di posizione dell’EDPB, il garante privacy irlandese, la Irish Data Protection Commission, ha emesso una sanzione di 390 milioni di euro contestando che la mancanza di conformità al GDPR del trattamento dei dati dei propri utenti per l’esecuzione della pubblicità personalizzata sulla base giuridica dell’esecuzione contrattuale.

Quale è l’attuale situazione e quali sono gli impatti dell’eventuale provvedimento contro Meta sul settore della pubblicità online?

La cessione di dati personali come corrispettivo di servizi non è vietata. Al contrario, l’art. 135-octies, comma 4, del Codice del Consumo riconosce la possibilità di utilizzare i dati personali come corrispetto per l’acquisto di contenuti e servizi digitali, prevedendo che le disposizioni del capo I-bis relativo ai “contratti di fornitura di contenuto digitale e di servizi digitali” sono applicabili anche nel caso in cui “il professionista fornisce o si obbliga a fornire un contenuto digitale o un servizio digitale al consumatore e il consumatore fornisce o si obbliga a fornire dati personali al professionista, fatto salvo il caso in cui i dati personali forniti dal consumatore siano trattati esclusivamente dal professionista ai fini della fornitura del contenuto digitale o del servizio digitale a norma del presente capo o per consentire l’assolvimento degli obblighi di legge cui è soggetto il professionista e quest’ultimo non tratti tali dati per scopi diversi da quelli previsti.

Quindi, la possibilità per il consumatore di fornire dei dati quale corrispettivo di contenuti e servizi digitali è prevista dal legislatore e può avvenire, a condizione che questa fornitura sia trasparente e non condizioni la libertà del consenso degli utenti.

Questo è il quadro giuridico che si presenta non solo rispetto ai social media, ma anche con riferimento alla pubblicità profilata offerta tramite ad esempio i cookie da molti editori negli ultimi mesi. Agli utenti viene posta, in modo del tutto trasparente, la scelta tra prestare il consenso all’installazione dei cookie di profilazione e la sottoscrizione di un abbonamento al quotidiano online.

Tuttavia, la posizione della Procura di Milano nei confronti di Meta rispetto al pagamento dell’IVA in relazione ai dati degli utenti utilizzati per eseguire la propria pubblicità profilata potrebbe avere conseguenze notevoli non solo su social media, ma sull’intero settore della pubblicità online. Questo scenario potrebbe mettere in difficoltà un settore che ha già notevoli difficoltà sulla base di una interpretazione che non ha precedenti.

Su di un simile argomento, può essere interessante il seguente articolo “I dati personali usati come corrispettivo per contenuti e servizi digitali dopo le modifiche del Codice del Consumo”.

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