L’entrata in vigore della Legge 132/2025 sull’intelligenza artificiale, avvenuta il 10 ottobre 2025, rappresenta un passaggio normativo cruciale per le professioni intellettuali, in particolare per quella forense. Il legislatore ha introdotto una disciplina che incide direttamente su alcuni dei pilastri alla bese dell’attività dell’avvocato: la personalità del rapporto, la responsabilità professionale e la trasparenza nel rapporto con il cliente, ridefinendo il perimetro entro cui è lecito e conforme utilizzare strumenti di AI generativa.
Uno dei cardini della nuova normativa è il principio secondo cui l’intelligenza artificiale può essere impiegata esclusivamente per attività strumentali e di supporto. L’articolo 13 comma 1 della legge stabilisce, infatti, che la prestazione professionale deve essere svolta “prevalentemente” dal professionista, il che esclude la possibilità di delegare alla tecnologia il contenuto sostanziale dell’incarico. L’avvocato può quindi utilizzare sistemi di AI per attività ausiliarie – come la ricerca giurisprudenziale, l’analisi documentale o la redazione di bozze – ma deve mantenere il controllo pieno e consapevole sul risultato finale. Riaffermando, così, la centralità del giudizio critico, dell’esperienza e della competenza del professionista, elementi che costituiscono il cuore della consulenza legale. L’AI è ammessa come strumento, non come sostituto. La norma intende così tutelare la qualità del servizio e garantire che il professionista mantenga il controllo effettivo del processo decisionale.
In tema di trasparenza, la legge introduce, al comma 2 dell’art. 13, un obbligo di informativa preventiva: l’avvocato deve comunicare al cliente, in modo chiaro e comprensibile, quali sistemi di intelligenza artificiale vengono utilizzati e in che modo saranno impiegati. Sebbene la norma non imponga una forma specifica, la prassi che si sta formando suggerisce l’inserimento di tale informativa nella lettera di incarico o nel mandato professionale, preferibilmente in forma scritta. Il contenuto dell’informativa dovrebbe includere: la tipologia di AI impiegata (generativa, predittiva, conversazionale, ecc.); il tipo di piattaforma utilizzata (on-premise, cloud, europea o extra-UE); la conferma che l’AI è usata solo per attività di supporto; e la dichiarazione che la responsabilità finale resta in capo al professionista. Questa prescrizione rafforza il principio di trasparenza e mira a preservare il rapporto fiduciario e personale tra cliente e professionista. Il cliente deve essere messo in condizione di comprendere il ruolo della tecnologia nel servizio ricevuto, evitando ogni ambiguità o opacità. L’informativa, quindi, non è un mero adempimento formale, ma un momento qualificante del rapporto contrattuale.
Con riferimento alla responsabilità professionale, la legge chiarisce in modo inequivocabile che l’utilizzo dell’AI non attenua la responsabilità del professionista. L’avvocato rimane l’unico garante del risultato finale, e risponde personalmente di eventuali errori, imprecisioni o distorsioni generate dal sistema. In tal senso, l’affidamento acritico alla tecnologia può comportare conseguenze legali dirette, come dimostrato da una recente sentenza del Tribunale di Torino, che, con sentenza n. 2120/2925, ha sanzionato un legale per aver presentato un ricorso contenente contenuti inconferenti generati da AI. La norma impone quindi un approccio consapevole e competente all’uso dell’intelligenza artificiale. L’avvocato deve essere in grado di valutare, verificare e correggere l’output generato, mantenendo il controllo sul contenuto e sull’efficacia della prestazione. La responsabilità non è delegabile, e la tecnologia non può fungere da scudo.
Dall’analisi della nuova disciplina si evince che, se da un lato la norma tutela il rapporto fiduciario con il cliente, dall’altro rischia di appesantire l’attività forense con oneri formali e sostanziali che potrebbero ostacolare l’adozione diffuse dell’AI nel settore forense. Il legislatore, infatti, ha scelto un approccio prudente, ma forse troppo conservativo, che non solo ignora, almeno parzialmente, gli obblighi deontologici già in capo ai professionisti, ma anche fa generare riflessioni su quale sia l’effettivo valore della prestazione professionale nell’era digitale. In definitiva, la sfida sarà bilanciare, da un lato, etica e progresso, e, dall’altro, competenze tecnologiche e tradizionali, evitando che la regolazione legislativa della professione forense diventi un freno anziché un volano per una giustizia più efficiente e accessibile.
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