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Le case di moda investono sul re-branding introducendo nuovi marchi e loghi sostenibili da apporre sui propri prodotti.

L’industria della moda è tristemente nota per essere una delle industrie più inquinanti al mondo, essendo responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra. Sono diversi i fattori che contribuiscono a questo risultato non certo positivo, tra cui l’esaurimento delle risorse idriche, l’inquinamento delle fabbriche tessili e i rifiuti delle merci. Negli ultimi anni, però, a grande richiesta del pubblico i marchi della moda si sono impegnati in progetti di re-branding per apporre sui loro prodotti loghi sostenibili.

Sono proprio i giovani consumatori che hanno iniziato a dare priorità al tema della sostenibilità anche nelle loro decisioni di acquisto. Infatti, il 74% dei millennial e il 62% della generazione Z preferiscono acquistare da brands attenti all’ambiente e sono quindi disposti a pagare di più per prodotti sostenibili. Pertanto, la domanda dei consumatori ha provocato ua notevole interesse verso la sostenibilità dei marchi della moda e dell’abbigliamento ed è proprio per questo motivo che la “moda sostenibile” e la trasparenza relativamente a questi sforzi hanno acquisito un’importanza crescente.

Per soddisfare le richieste dei consumatori nel fare scelte di acquisto più consapevoli, molti marchi si sono impegnati a creare prodotti in edizione limitata, capsule collection o addirittura intere linee sostenibili, cioè realizzate con materiali di provenienza etica o riciclati. L’aumento della consapevolezza dei consumatori e degli investitori sugli elementi ambientali, sociali e di governance (“ESG“) delle aziende sta contribuendo a far crescere il mercato della sostenibilità che, secondo KMPG, dovrebbe raggiungere i 150 miliardi di dollari entro il 2021, con la moda che gioca un ruolo importante, in quanto la sostenibilità continua a essere “un pilastro fondamentale per la crescita delle imprese”, indipendentemente dal settore.

Poiché i consumatori – e il mercato – chiedono sempre più trasparenza e sostenibilità all’industria della moda, diverse aziende hanno adottato nuove tecniche per posizionare se stesse e i loro prodotti come “sostenibili”. Tra gli altri fattori, è interessante capire come le imprese stiano investendo nel re-branding o nell’introduzione di nuovi marchi, apponendo sui loro prodotti loghi incentrati sulla sostenibilità, in modo che i consumatori siano consapevoli dell’origine e della natura dei prodotti in gioco.

Diversi marchi della moda hanno scelto di adottare anche nuovi loghi per dimostrare il loro impegno a diventare più sostenibili. I loghi, come i marchi, identificano l’origine dei prodotti, ma trasmettono anche i valori del brand, ossia le missioni, le emozioni e gli scopi che rappresenta. Per questo motivo, i marchi sono particolarmente efficaci per comunicare il passaggio del brand alla sostenibilità.

Ad esempio, nell’ambito della collezione uomo SS 2021, Louis Vuitton ha adottato – presentando domanda di registrazione – il logo Upcycling Signal. Il segno consiste nel ridisegnare il monogramma “LV” in modo che assomigli alle frecce attorcigliate del logo recycle, per i prodotti che sono upcycled o che contengono almeno il 50% di materiali riciclati e di origine biologica. Virgil Abloh ha utilizzato la versione “sostenibile” del monogramma per lanciare un paio di sneaker completamente bianche realizzate in ecopelle a base di mais e poliestere riciclato, con almeno il 90% del prodotto proveniente da materiali riciclati o di origine biologica.

Louis Vuitton non è l’unico marchio di lusso a puntare su re-branding sostenibili. Infatti, diversi altri marchi di moda hanno creato una versione “green” dei loro loghi. A partire da novembre 2021, in relazione a una collaborazione con il marchio di streetwear Palm Angels, Moncler ha utilizzato una versione ridisegnata del suo logo per indicare i prodotti realizzati “con tessuti realizzati con materiali a basso impatto come Econyl®, un nylon rigenerato derivato da rifiuti oceanici e terrestri – cotone organico e poliestere riciclato, mentre i bottoni e le cerniere sono realizzati con metallo e ottone riciclati“. In particolare, il logo “sostenibile” consisteva in una versione ridisegnata della “M” di Moncler come un ciclo infinito di frecce che ricorda il simbolo del riciclo.

Anche Prada nel 2019 ha adottato – presentando domanda di registrazione – un marchio “green” da utilizzare in relazione a una collezione in nylon riciclato e riciclabile (Econyl), che è un materiale proprietario ricavato dall’upcycling di rifiuti di nylon industriali come tappeti o reti da pesca. Il marchio è composto dalle parole Prada e Re-Nylon con l’iconico triangolo di Prada formato da frecce, che ricorda anch’esso il simbolo del riciclo.

Infine, anche Valentino, nel gennaio 2022, ha presentato le sneakers “Open for a Change” come parte della collezione Primavera/Estate 2022 che “sono ridisegnate e ridedicate in uno spirito di innovazione aperta con un’etica più consapevole“. In particolare, le sneakers sono ornate da loghi sostenibili, ridisegnando l’iconica “V” al centro, circondata da due frecce verdi, che ricordano il logo del riciclo.

Tuttavia, mentre la decisione di alcuni marchi della moda di utilizzare loghi sostenibili, cercando di comunicare elementi di sostenibilità o ESG, può essere efficace dal punto di vista reputazionale e commerciale, i marchi dovrebbero essere consapevoli del fatto che le autorità di regolamentazione stanno prestando molta più attenzione a questo tema, essendoci disposizioni rigide da seguire.

L’articolo 21, comma 2, del Codice della Proprietà Intellettuale italiano (“CPI“) stabilisce il divieto di utilizzare il marchio in modo tale da indurre in errore il pubblico sulla “natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato“. Questo divieto si riferisce all’ingannevolezza dei messaggi che il marchio veicola interagendo con il contesto pubblicitario, l’imballaggio e l’etichettatura dei prodotti. Pertanto, ciò che è ingannevole è il significato “indiretto”, cioè il messaggio che il marchio assume in relazione al contesto in cui viene utilizzato. Questo può essere il caso di un marchio che viene collegato nella percezione del pubblico a una certa fonte di produzione (pur non comunicando di per sé alcuna informazione sull’origine), ma che in realtà assume un significato preciso legato all’origine dei prodotti. Infatti, se un brand decide di registrare un marchio “green” in relazione a una collezione asseritamente sostenibile, ma senza che la collezione sia effettivamente ispirata a questi principi, ai sensi degli articoli 14, paragrafo 2, lettera a), e 26, lettera b), del CPI, tale marchio può essere revocato.

A questo proposito, è rilevante la sentenza della Corte di Cassazione n. 6234/2009 sul marchio ”BIO-ENE”, che caratterizzava una gamma di prodotti a base vegetale. La Suprema Corte ha ritenuto che il marchio ”BIO-ENE” fosse idoneo a trarre in inganno il consumatore finale perché “le indicazioni contenute nel marchio, a causa della ‘forte portata semantica ed evocativa’ del termine ‘bio’, inducevano il consumatore di media diligenza a credere, nonostante l’associazione con il termine ‘ene’ e con il simbolo grafico, che i prodotti caratterizzati da quel marchio fossero prodotti con metodo biologico, non già semplicemente di ispirazione vegetariana, quali in effetti erano’”.

In conclusione, le imprese dovrebbero tenere a mente di prestare attenzione quando decidono di adottare loghi riferibili alla sostenibilità. Infatti, per evitare danni reputazionali o contraccolpi, i brands devono essere trasparenti, cercando di non enfatizzare l’impegno ecologico soprattutto quando questo è totalmente assente.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo: “Come i fashion brand possono promuovere la sostenibilità e proteggere il loro marchio”.

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