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Nel 2023 Not Just a Label, piattaforma-community che conta oltre 50mila designer indipendenti lancerà la prima piattaforma per i diritti di proprietà intellettuale nel settore fashion e luxury. Ciò rappresenterà indubbiamente una tutela per i giovani designer e una fonte di ispirazione per i grandi brand.

Le mode mutano, si trasformano, a volte si reinventano, ma soprattutto seguono le stagioni. Per fare in modo che questo sia possibile, è necessario che dietro vi sia un’industria che lavori incessantemente, che sia innovativa e ascolti le percezioni dei consumatori, che osservi, studi, ricerchi e si metta in discussione. Si richiede, paradossalmente, che in un settore come quello della moda, legato alla stagionalità, l’industria che la sorregga sia proprio “a-stagionale”, pronta a giocare d’anticipo e a non fermarsi mai. E queste sfide sono demandate anche al diritto che regola la moda, cui è richiesto di trovare soluzioni al passo con i tempi e volte a soddisfare le esigenze degli operatori del mercato e dei consumatori.

Negli anni, l’industria della moda si è mostrata sempre più attenta alla sostenibilità, alla trasparenza della filiera produttiva, alle condizioni dei lavoratori e anche alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale, portando le aziende ad investire in scelte che riflettessero a pieno la volontà di percorrere queste strade. Questo ha fatto sì che il divario tra i colossi del fast fashion e i designer indipendenti diventasse sempre più marcato, facendo apprezzare questi ultimi da una porzione sempre più consistente di pubblico, ma anche esponendoli ai rischi maggiori legati alla violazione dei loro diritti IP. Infatti, da un punto di vista giuridico se, da un lato, il tema relativo alla tutela dei diritti IP dei fashion designer è da sempre controverso, dall’altro lato esso non cessa mai di essere attuale, per cui non solo è importante discuterne, ma anche elaborare prospettive future.

Il primo tema legale da affrontare è quello relativo alla proteggibilità delle creazioni della moda, quali i capi di abbigliamento e gli accessori. Esse possono trovare tutela, in primo luogo, ai sensi della legge sul diritto d’autore e, in particolare, ai sensi dell’articolo 2 n. 10 l.d.a., che annovera tra le opere protette quelle del disegno industriale che presentino carattere creativo e valore artistico. La previsione di tali requisiti, che rappresenta sicuramente una barriera ulteriore per accedere alla tutela autoriale è giustificata dalla destinazione seriale dei prodotti in questione. E se, da un lato, per quanto concerne il requisito del carattere creativo si ritiene sufficiente provare che l’autore abbia fornito un apporto individuale nella creazione dell’opera che esprima la sua personalità, dall’altro, il requisito del valore artistico è aspramente dibattuto. In primo luogo, è opportuno rammentare che tale quid pluris non è previsto in maniera armonizzata, bensì soltanto in alcuni stati, tra cui l’Italia, come dimostrato anche dalla celebre pronuncia Cofemel del 2019 della Corte di giustizia europea (C-683/17 – Cofemel – Sociedade de Vestuário SA).

Pertanto, rifacendosi all’opinione condivisa dalla nostra giurisprudenza, si ritiene che tale requisito sussista laddove vi siano degli indici oggettivi, quali il riconoscimento da parte di ambienti culturali e istituzionali del prodotto, la dimostrazione della sussistenza di qualità estetiche ed artistiche dimostrate dall’esposizione in mostre, musei o attraverso la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi e così via. Tuttavia, è particolarmente insidioso per le creazioni della moda accedere alla protezione come opere protette dal diritto d’autore e, laddove ipotizzabile, forse più plausibile nei confronti delle creazioni delle grandi maison, rispetto al caso dei designer emergenti e indipendenti.

Uno strumento più efficace per tutelare le creazioni della moda è quello della registrazione come disegni o modelli. Per godere di tale tutela, che dura cinque anni dalla data di registrazione ed è rinnovabile per un numero massimo di cinque volte, è sufficiente provare che i prodotti siano dotati di novità e di carattere individuale. È altresì prevista una protezione più esigua, di tre anni dalla data di divulgazione del prodotto al pubblico per la prima volta, accordata ai disegni e ai modelli non registrati che siano nuovi e abbiano carattere individuale. Tuttavia, la data di divulgazione, così come la prova della contraffazione, non sono sempre elementi facilmente dimostrabili.

A questi strumenti, si affianca quello che qui verrà trattato solo marginalmente, ossia quello della tutela del marchio, che pare poco applicabile ai nuovi prodotti di designer emergenti. Infine, ad essere spesso invocate dai creatori del gusto e della moda sono le norme in materia di concorrenza sleale e in particolare relative alle ipotesi di imitazione servile della forma e dello stile del prodotto, di condotta di appropriazione di pregi e di concorrenza sleale parassitaria.

Esaurito il tema relativo alla proteggibilità delle creazioni di moda e ai diritti di proprietà intellettuale che sorgono in capo ai creatori, pare opportuno fare un accenno al tema della cessione dei diritti da parte dei designer, altresì controverso. Infatti, in un settore come quello del fashion and luxury, dove la violazione dei diritti di proprietà intellettuale è all’ordine del giorno, si è sempre alla ricerca di forme contrattuali più snelle, rispetto a quelle “standard” quali i contratti di cessione dei diritti d’autore o i contratti di licenza di marchio o design. In tal senso, è senza dubbio da segnalare l’idea elaborata da Stefan Siegel, fondatore di “Not Just a Label”, una piattaforma fondata nel 2008 e dedicata ai designer emergenti e indipendenti. Essa mette in contatto con questi ultimi, da un lato, con i clienti diretti (piattaforma b2c) e, dall’altro, con aziende interessate ai loro prodotti (piattaforma b2b); tuttavia, la novità più grande di “Not Just a Label” è senza dubbio quella relativa al lancio di un marketplace dei diritti di proprietà intellettuale che la piattaforma implementerà a partire dal 2023 e, in virtù del quale, ha avviato un fundraising da 10 milioni. Attraverso tale sistema, le aziende potranno acquistare i diritti di proprietà intellettuale dai designer per riprodurre i loro articoli, garantendo a questi ultimi un flusso di reddito anonimo. Sicuramente sarà un precedente importante che, al pari della tecnologia blockchain, porterà a garantire ulteriormente l’autenticità dei prodotti “Made in Italy”. Quest’ultima, infatti, attraverso registri decentralizzati, modificabili da più persone in momenti diversi, immutabili e tracciabili, consente di monitorare realmente la storia del prodotto e preservarne l’unicità.

In conclusione, pertanto, possiamo solo ribadire l’importanza di tutelare i diritti di proprietà intellettuale nel settore fashion & luxury, come dimostra l’iniziativa di “Not Just a Label”. Infatti, investire in proprietà intellettuale non significa altro che investire nel proprio brand.

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