Google è stata condannata a deindicizzare e risarcire € 25.000 di danni per la diffamazione conseguente all’illecito trattamento dei dati del ricorrente che ha esercitato il diritto all’oblio.
È stata resa pubblica la sentenza n. 4911 emessa lo scorso 24 gennaio 2020 dal Tribunale di Milano, Sez. I, mediante la quale Google LLC è stata condannata a procedere alla deindicizzazione di alcuni siti Internet contenenti notizie false e dal contenuto diffamatorio riguardanti la controparte ricorrente, nonché a versare a quest’ultima una somma pari a € 25.000 a titolo di risarcimento per i danni non patrimoniali sofferti a causa del ritardo nella deindicizzazione da parte del motore di ricerca di tali informazioni.
Il provvedimento in oggetto si pone a valle di una vicenda risalente al 2011, quando il ricorrente si era avveduto del fatto che fossero state diffuse online informazioni false e dal contenuto diffamatorio sul proprio conto, per le quali aveva poi ottenuto nel 2017 una sentenza di condanna per diffamazione nei confronti del soggetto propalante, ormai definitiva. A tal riguardo, la parte ricorrente chiedeva altresì al noto motore di ricerca la cancellazione di tutti gli URL riportanti le notizie calunniose sul proprio conto esercitando il c.d. diritto all’oblio, ricevendo tuttavia in risposta un rifiuto a provvedere. Da qui, pertanto, è derivato il ricorso di fronte al Tribunale di Milano.
In particolare, il ricorrente chiedeva al giudice adito di accertare l’illecito trattamento dei propri dati personali da parte di Google – attuato mediante la pubblicazione, la diffusione online, la conservazione, l’archiviazione informatica e il mantenimento di tali informazioni – e di adottare le misure necessarie al fine di impedire il protrarsi della lesione alla propria riservatezza, reputazione ed onore. Google argomentava che, in quanto hosting provider ai sensi della Direttiva e-Commerce n. 2000/31/CE e del relativo D.Lgs. n. 70/2003, non fosse responsabile del contenuto delle notizie riportate sui siti visualizzabili per effetto della ricerca e che, pertanto, non sussistesse in capo all’interessato un diritto potestativo alla cancellazione dei dati personali, configurabile nei confronti del titolare del trattamento solo nei casi di trattamento illegittimo.
Il Tribunale rigettava la tesi offerta dalla parte resistente. Nella citata sentenza, infatti, il giudice adito ha ricordato che Google, oltre ad attivarsi in qualità di hosting provider, nella fornitura del servizio Google Web Search agisce e opera altresì come una vera e propria banca dati, avente ad oggetto “pagine web prelevate dagli spiders”, “memorizzate su enormi sistemi di storage residenti presso la sua web-farm” e successivamente “offerti in visione in maniera aggregata ed organizzata secondo parametri scelti da Google” e coperti da segreto industriale: nello svolgimento di questa attività, Google riveste il ruolo di titolare autonomo per il trattamento dei dati dell’interessato, “con la conseguente responsabilità extracontrattuale per i risultati eventualmente lesivi determinati dal meccanismo di funzionamento di questo particolare sistema di ricerca”, non essendo rilevante “l’assenza di ogni intenzionalità lesiva nel provider”.
Dato tutto quanto precede, il Tribunale ha pertanto ritenuto Google responsabile per illecito trattamento dei dati del ricorrente conseguente alla mancata deindicizzazione dei risultati della ricerca conseguente ad una richiesta di esercizio del diritto all’oblio. Per tali motivi, ha condannato Google a versare al ricorrente € 25.000 a titolo di risarcimento del danno morale per la “sofferenza derivante dal perdurare della reperibilità dei dati negativi che lo riguardavano mediante attivazione delle ricerche a proprio nome sul motore generalista e la frustrazione subita alla reiezione della richiesta avanzata”.