Con la recente sentenza n. 27217/2021 la Corte di Cassazione ha riconosciuto che il marchio notorio è degno di una tutela rafforzata che va oltre il rischio di confusione che si può creare con un marchio più debole, poiché rischia di essere “diluito” dalla commercializzazione di prodotti con segni simili al marchio rinomato.
La Cassazione ha accolto il ricorso contro una sentenza della Corte d’Appello di Firenze, proposto da una nota casa di moda, che in sede di merito aveva contestato la registrazione di due marchi da parte di una società cinese, chiedendone l’annullamento per difetto di novità. La Corte d’Appello aveva escluso il rischio di confusione tra il marchio e segni cinesi, dal momento che il cliente “medio” dei prodotti avrebbe certamente riconosciuto il marchio rinomato e poiché i segni contestati presentavano differenziazioni grafiche tali da escludere ogni rischio di confusione ed associazione. In particolare, per la Corte d’Appello l’alta rinomanza del marchio notorio costituirebbe un’ulteriore conferma dell’insussistenza di tale rischio, essendo i consumatori del marchio soggetti “qualificati”. La ricorrente ha fondato le proprie argomentazioni sulla tutela rafforzata dovuta ai marchi notori e “forti”, puntualizzando che il confronto tra i marchi deve essere effettuato “in astratto”, come appaiono nel certificato di registrazione, e che il pubblico a cui fare riferimento è quello medio, non i clienti abituali del brand. La ricorrente ha specificato che nell’applicazione della disciplina dei marchi di rinomanza si deve prendere in considerazione il pregiudizio al carattere distintivo che deriva dall’uso del segno simile e dell’indebito vantaggio che il contraffattore trae dalla rinomanza del marchio anteriore.
La Cassazione ha segnalato che la Corte d’Appello ha fatto erroneamente riferimento solo al criterio del rischio di confusione, senza tener conto della tutela rafforzata che è riconosciuta ai marchi rinomati (art. 12 lett. f) e art. 20 lett. c) c.p.i.) e che prescinde dall’accertamento del rischio di confusione. La decisione è stata infatti incentrata sul rischio di confusione tra il marchio del brand e i segni contestati, che è stata rigettato proprio perché per la rinomanza del marchio anteriore la forza attrattiva di questo non sarebbe stata compromessa da un segno successivo non idoneo ad ingannare la clientela. La Corte di Cassazione ha osservato invece che la giurisprudenza europea (L’Oreal e a., C-487/07) ha sancito che non sia necessario che il grado di somiglianza tra il marchio notorio e il segno successivo sia tale da creare un rischio di confusione, ma è sufficiente che tale somiglianza ingeneri nel pubblico interessato un nesso tra il marchio rinomato e il segno. Il marchio posteriore e non noto non può quindi essere registrato poiché trarrebbe indebito vantaggio dal marchio anteriore e più rinomato: il carattere distintivo del marchio sarebbe “diluito” e verrebbe indebolita la sua capacità di identificare prodotti e servizi per cui è stato registrato. La forza attrattiva di tale marchio sarebbe quindi “corrosa” e il cliente si disaffezzionerebbe al brand. La Suprema Corte ha infatti riconosciuto che la commercializzazione estesa di prodotti caratterizzati da segni identici o simili a marchi rinomati ha come effetto un cambiamento fondamentale nelle abitudini della clientela usuale dei marchi, soprattutto quella che normalmente acquista i prodotti per il loro carattere e il target esclusivo: la clientela infatti potrebbe essere spinta a rivolgersi a brand altrettanto rinomati per evitare che il prodotto di lusso acquistato possa essere confuso con uno contraffatto.
Infine, la Cassazione ha stabilito inoltre che il parassitismo del marchio debole vada ricollegato al vantaggio indebitamente tratto dal terzo nell’uso di un segno simile o identico dal marchio, che sfrutta il potere attrattivo, la notorietà e rinomanza di questo senza operare sforzi e senza qualsivoglia remunerazione economica per ricompensare l’impegno commerciale che il titolare del marchio effettua per crearlo e mantenerne l’immagine. Per la Suprema Corte è infatti irrilevante che coloro che acquistano abitualmente i prodotti del brand rinomato possano non essere indotti in errore circa la provenienza del prodotto con marchio contraffatto: tale prodotto sarebbe rivolto anche a consumatori che lo sceglierebbero consapevolmente proprio per quella forte somiglianza con il marchio celebre e che potrebbero spacciarlo come originale a consumatori meno attenti o qualificati.
In conclusione, per accertare che vi sia indebito vantaggio del carattere distintivo o della notorietà del marchio notorio, bisogna effettuare una valutazione complessiva che tenga in considerazione dell’intensità, della notorietà e del grado del carattere distintivo del marchio rinomato, oltre che della somiglianza fra i segni in conflitto e della natura e del grado di prossimità dei prodotti e servizi per cui questi sono registrati. Quanto più è intensa la notorietà e il carattere distintivo del marchio, tanto più facilmente sarà ammessa l’esistenza di una violazione. Inoltre, qualora il segno successivo evochi il marchio in modo immediato e forte, aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio.
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