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Con una recente sentenza, il Tribunale dell’Unione europea ha dichiarato la non registrabilità del marchio di una nota squadra di calcio italiana, confermando il rischio di confusione con un simile marchio anteriore tedesco.

Nello specifico, nel 2017 all’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (“EUIPO”) veniva notificata una richiesta di registrazione internazionale designante, tra gli altri Paesi, anche l’Unione europea, avanzata per tutelare un marchio figurativo riconducibile a una nota squadra di calcio italiana. Tra le altre, veniva rivendicata la classe 16 della Classificazione di Nizza. Poco dopo la pubblicazione della richiesta sul Bollettino marchi, alla richiedente veniva notificato il deposito di un atto di opposizione avverso la porzione europea della registrazione internazionale. A proporre opposizione era una società tedesca, titolare di un marchio anteriore rivendicato in classe 16 e costituito dal medesimo elemento verbale del marchio opposto. A fondamento dell’opposizione, la società tedesca poneva, tra gli altri, il rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato (art. 8 paragrafo 1 lettera b) del Reg. (UE) 2017/1001), determinato sia dall’identità o dalla somiglianza dei marchi che dall’identità o somiglianza dei prodotti o servizi rivendicati. Tale rischio, da intendersi anche come rischio di associazione, veniva confermato sia dalla Divisione di Opposizione che dalla Seconda Commissione di ricorso dell’EUIPO. La ricorrente procedeva quindi innanzi al Tribunale dell’Unione europea.

La sentenza in oggetto rileva in particolare per le conferme giunte in merito a principi già noti, ma che in tale sede sono stati raggiunti da maggior chiarezza. In particolare, il Tribunale ha ricordato che la ratio legis dell’’istituto della richiesta delle prove d’uso si fonda sulla necessità di garantire un uso effettivo del marchio, la cui funzione distintiva deve in ogni caso rimanere centrale. Ciò determina la necessità di provare un uso reale e concreto fondato su dati oggettivi, in riferimento ai prodotti e servizi rivendicati in sede di deposito. Al contrario, sono da considerarsi irrilevanti le forme di uso sporadico e meramente volte alla conservazione dei diritti. È stato altresì chiarito che, ai fini della valutazione di tale uso, si dovrà adottare un approccio globale e quindi attento a tutte le circostanze del caso, quali ad esempio l’ammontare delle vendite, un utilizzo del marchio senza interruzioni, il volume dell’attività commerciale nonché, ovviamente, le caratteristiche dei prodotti e servizi, senza adottare un approccio premiante nei confronti di un criterio in particolare. Inoltre, con riguardo ai soggetti raggiunti dall’utilizzo del marchio, il Tribunale ha stabilito che l’uso non necessariamente deve essere rivolto ai soli consumatori finali, comprendendo anche altre imprese, professionisti del settore e clienti. Il Giudice adito ha chiarito altresì che ai fini della valutazione della capacità distintiva di un marchio composto da un elemento denominativo e uno figurativo, sarà il primo a prevalere sull’altro e quindi ad essere giudicato dominante ai fini del carattere distintivo. Ciò, alla luce del fatto che il consumatore medio tenderà a riferirsi alla parte denominativa di un marchio simile piuttosto che all’elemento grafico. Da ultimo, il Tribunale ha sottolineato come ai fini della valutazione della notorietà – ulteriore fondamento dell’opposizione -, il marchio da prendere in considerazione ai fini della disamina di tale elemento fosse il marchio anteriore, non quello posteriore.

Alla luce di tali principi, il Tribunale concludeva per la non registrabilità del marchio. Nello specifico, il Tribunale: riteneva sufficienti le prove d’uso fornite dalla società tedesca, consistenti in materiale pubblicitario e informativo in lingua tedesca, fatture intestate a clienti tedeschi nonché documenti relativi alle vendite; non riconosceva la maggior capacità distintiva dell’elemento figurativo del marchio anteriore rispetto a quello denominativo – come sostenuto dalla ricorrente – e ciò escludendo altresì l’alterazione della capacità distintiva che secondo la ricorrente era stata determinata da un diverso utilizzo del marchio nella pratica commerciale; infine, riteneva sussistente un rischio di confusione tra i marchi a causa della affinità dei prodotti e servizi contrassegnati e della somiglianza rilevata a seguito della comparazione visiva, fonetica e concettuale degli stessi.

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