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La Corte di Cassazione si è espressa sul valore delle indagini demoscopiche ai fini della prova della sussistenza dei requisiti necessari per la tutela di un marchio ritenendo tali indagini indizi, di per sé non decisivi, perchè solo uno dei possibili strumenti per l’accertamento della percezione del segno.

Con due recenti pronunce (Corte di Cass., 18 febbraio 2022, n. 5491 e Corte di Cass., 17 ottobre 2022, n. 30455), la Corte di Cassazione ha trattato il tema della rilevanza delle indagini demoscopiche ai fini della tutela di un marchio. Le parti di un procedimento amministrativo o di una causa civile possono ricorrere alla prova dell’indagine demoscopica per dimostrare la sussistenza dei requisiti (siano essi relativi alla notorietà, alla capacità distintiva o, ancora, alla decettività) del marchio in esame e, in taluni casi, tale prova può anche essere disposta nell’ambito di una consulenza tecnica d’ufficio (“CTU”). Pare dunque interessante capire come gli Uffici amministrativi e le Corti valutino questo tipo di strumento e se, nel concreto, quest’ultimo sia ritenuto effettivamente necessario o “semplicemente” utile.

A livello amministrativo, l’EUIPO reputa le indagini demoscopiche uno strumento estremamente valido ai fini della prova della notorietà, della rinomanza o del secondary meaning di un marchio; tuttavia, perchè tali indagini possano essere considerate attendibili devono: (i) essere condotte da un’impresa o istituto di ricerca indipendente e riconosciuto; (ii) essere rappresentative delle diverse categorie di consumatori potenziali dei prodotti in questione; (iii) dare chiara evidenza circa le modalità e l’ordine di formulazione dei quesiti per dimostrare che gli intervistati non siano stati guidati nelle loro risposte; infine, (iv) indicare se le percentuali riportate nel sondaggio riguardano il numero totale delle persone intervistate o solo quelle che hanno effettivamente risposto ai quesiti.

La giurisprudenza nazionale, invece, è stata più altalenante nel riconoscere un effettivo valore probatorio alle indagini demoscopiche e, in particolare, ad ammettere la necessità di ricorrere a queste ultime ai fini della prova della sussistenza dei requisiti necessari per la tutela del marchio di fatto, del marchio notorio o, ancora, per dimostrare l’acquisizione del carattere distintivo (c.d. secondary meaning) da parte del marchio oppure la sua decettività. Un primo orientamento riteneva necessario tale strumento ai fini delle predette prove (Corte di Cassazione, 19 aprile 2016, n. 7738). Tuttavia, la posizione presa di recente dalla Corte di Cassazione mette in evidenza come tali indagini sarebbero invece unicamente indizi, di per sé non decisivi, e solo uno dei possibili strumenti per l’accertamento della percezione del marchio, lasciando libero il giudice di formare il proprio convincimento sulla base anche di ulteriori evidenze.

La Corte di Cassazione si è espressa in tal senso con la sentenza del 18 febbraio 2022. La convenuta, un’importante casa di moda, chiedeva la nullità del marchio di fatto di parte attrice per difetto della capacità distintiva e a tale scopo domandava che venisse ammessa una apposita CTU demoscopica per provare che il pubblico di riferimento non percepisse il marchio di fatto in questione come un segno distintivo. In questo caso, la Corte ha ricordato come il ricorso all’indagine demoscopica non fosse di fatto obbligatorio, non essendovi “nessuna norma [che] impone di valutare la capacità distintiva e le percezioni del pubblico alla stregua di indagini demoscopiche, che costituiscono solo un possibile strumento di indagine, neppur previsto espressamente dalla legge“.

La Corte di Cassazione si è espressa sul tema anche con la sentenza dello scorso 17 ottobre 2022, in un caso che riguardava l’accertamento del secondary meaning da parte di un marchio tridimensionale di un’altra importante Casa di Moda. Con tale pronuncia, veniva precisato che, ai fini della prova del conseguimento del carattere distintivo in seguito all’uso del marchio, i dati risultanti dalle indagini demoscopiche costituissero indizi, di per sé non decisivi, da essere ponderati quanto al valore dei risultati dei sondaggi di opinione, in relazione alla percentuale e al grado complessivo di attendibilità tecnico-scientifica degli stessi (non richiedendosi che la funzione identificativa acquisita dal segno fosse accertata sulla totalità o sulla quasi-totalità del pubblico destinatario), nonché che tali dati dovessero essere accompagnati da altri indizi gravi, precisi e concordanti.

Le suddette decisioni, ritenendo le indagini demoscopiche uno strumento utile ma non necessario, si pongono in evidente contrasto con il precedente orientamento giurisprudenziale che sosteneva, in senso opposto, la necessità dell’acquisizione in giudizio di tale prova.

Ad ogni modo, anche se la giurisprudenza nazionale è incline a non ritenere di per sé necessario tale valido strumento, è sempre possibile richiedere lo svolgimento di indagini demoscopiche nel corso di un procedimento e, qualora si decida di procedere con tale domanda, dovrà senz’altro essere fatto riferimento alle direttive dell’EUIPO sopra menzionate, così da fornire all’organo giudicante un documento di elevato valore probatorio.

Su un simile argomento, può essere interessante l’articolo “Marchi di certificazione: percezione del consumatore nell’esame degli impedimenti assoluti“.

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