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Per la CGUE, obbligare il consumatore a pagare costi di credito extrainteressi eccessivi può costituire una clausola abusiva.

Con la sentenza nella causa C-321/22, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) si è pronunciata sulla potenziale abusività di clausole contrattuali che prevedano costi extrainteressi a carico del consumatore nell’ambito di contratti di credito al consumo.

In particolare, la Corte ha affermato che il carattere abusivo di una clausola relativa a costi extrainteressi di un contratto di mutuo stipulato tra un professionista e un consumatore può essere accertato in considerazione del fatto che tale clausola preveda il pagamento da parte del consumatore di spese o commissioni di importo manifestamente sproporzionato rispetto al servizio fornito in cambio, purché la valutazione del carattere eventualmente abusivo non sia escluso in quanto attinente alla determinazione dell’oggetto del contratto o all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, individuati in modo chiaro e comprensibile.

La questione in esame sorge dalla sottoscrizione, da parte di tre cittadini polacchi, di contratti di credito al consumo offerti da professionisti finanziari.

Secondo i suddetti contratti, i tre consumatori avrebbero dovuto pagare – oltre alla somma presa a prestito maggiorata degli interessi – spese e commissioni aggiuntive particolarmente elevate e corrispondenti a diverse decide di punti percentuali rispetto agli importi concessi in prestito (c.d. “costi extrainteressi”).

Ritenendo tali spese e commissioni manifestamente eccessive e irragionevoli, i tre consumatori hanno chiesto al giudice polacco di dichiarare l’inopponibilità nei propri confronti delle clausole in questione (e, dunque, l’abusività delle stesse) in quanto sproporzionate rispetto all’importo prestato e costituenti, di fatto, la principale fonte di reddito del mutuante.

Tramite rinvio pregiudiziale, il giudice polacco ha interpellato la CGUE in merito all’interpretazione della direttiva sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (Direttiva 93/13/CEE) e, in particolare, in relazione (tra l’altro) alla possibilità di dichiarare le clausole che fissano spese o commissioni dovute a un professionista come abusive per il solo motivo che tali costi extrainteressi siano palesemente eccessivi rispetto alla prestazione del professionista.

Il giudice di rinvio polacco ha precisato che, in generale, è normale che un’impresa di credito cerchi di coprire i suoi costi di gestione nonché i rischi di mancato pagamento e di procurarsi un utile.

Tuttavia, nei procedimenti in oggetto, la remunerazione che il mutuante si sarebbe concesso in un periodo di tempo relativamente breve avrebbe superato tale norma, in quanto sarebbe stata pari a diverse decine di punti percentuali dell’importo prestato, o addirittura vicina a tale importo (i costi extrainteressi avrebbero rappresentato tra il 70% e 90% dell’importo prestato).

Nella sua risposta, la Corte ricorda innanzitutto che una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti a danno del consumatore.

Inoltre, secondo costante giurisprudenza, per quanto riguarda l’esame della sussistenza di un significativo squilibrio, esso non può limitarsi a una valutazione economica di natura quantitativa che si basi su un confronto tra il valore complessivo dell’operazione oggetto del contratto e i costi posti a carico del consumatore dalla clausola contrattuale in oggetto.

Un significativo squilibrio può risultare dal mero fatto di un pregiudizio sufficientemente grave alla situazione giuridica in cui il consumatore, quale parte del contratto in questione, viene collocato in forza delle disposizioni nazionali applicabili, sia esso in forma di restrizione al contenuto dei diritti che egli trae da tale contratto o di ostacolo all’esercizio dei medesimi o ancora dell’imposizione di un obbligo ulteriore, non previsto dalla disciplina nazionale.

Da tale giurisprudenza discende che, qualora si accerti che una valutazione economica di natura quantitativa non faccia emergere un significativo squilibrio, il giudice nazionale non possa limitarsi a condurre tale valutazione, ma sia tenuto a esaminare se uno squilibrio risulti da un altro elemento, come una restrizione ad un diritto derivante dal diritto nazionale o un obbligo supplementare non previsto da tale diritto.

Per contro, qualora una valutazione economica di natura quantitativa riveli un significativo squilibrio, quest’ultimo può essere accertato senza che sia necessario esaminare altri elementi.

Secondo la Corte, nel caso di un contratto di credito, tale accertamento può essere effettuato, in particolare, se i servizi forniti come corrispettivo dei costi extrainteressi non rientrino ragionevolmente tra le prestazioni effettuate nell’ambito della conclusione o della gestione di tale contratto, o se gli importi posti a carico del consumatore a titolo di spese di concessione e di gestione del mutuo appaiano manifestamente sproporzionati rispetto all’importo prestato.

Pertanto, nella risposta della CGUE, un significativo squilibrio può derivare dal solo fatto che i costi extrainteressi posti a carico del consumatore siano manifestamente sproporzionati rispetto all’importo concesso in prestito e ai servizi forniti in cambio connessi alla concessione e alla gestione di un credito.

Detto ciò, in linea generale, il carattere abusivo delle clausole può essere valutato solo nel caso in cui esse non mirino a determinare l’oggetto del contratto né l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile (ovverosia, la clausola in oggetto sia intelligibile per il consumatore su un piano grammaticale e il consumatore sia posto in grado di valutare, sulla base di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano).

In particolare, la Corte precisa che – senza che il mutuante sia tenuto a precisare nel contratto la natura di tutti i servizi forniti a fronte delle spese o delle commissioni previste da talune clausole contrattuali – occorre, da un lato, che la natura dei servizi effettivamente forniti possa essere ragionevolmente compresa o dedotta a partire dal contratto considerato nel suo complesso e, dall’altro, che il consumatore sia in grado di verificare che non vi sia sovrapposizione tra le diverse spese o tra i servizi che sono posti a suo carico. Tale esame deve essere effettuato alla luce di tutti gli elementi di fatto pertinenti, tra i quali le clausole del contratto in oggetto, ma anche la pubblicità e l’informazione fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione del contratto.

Ne consegue che, se il giudice nazionale dovesse accertare che le clausole di rilievo non siano formulate in modo chiaro e comprensibile, esse dovrebbero in ogni caso essere oggetto di una valutazione del loro eventuale carattere abusivo, anche qualora detto giudice ritenesse che tali clausole facciano parte dell’oggetto del contratto o che esse siano di fatto contestate con riferimento all’adeguatezza del corrispettivo rispetto ai servizi forniti in cambio.

A titolo esemplificativo, l’assenza di prestazione effettiva del mutuante che possa costituire la contropartita di una commissione prevista in una clausola contrattuale non attiene all’adeguatezza tra l’importo di tale commissione e una qualsivoglia prestazione. Allo stesso modo, una commissione che copra la remunerazione dei servizi connessi all’esame, alla concessione o al trattamento del mutuo o del credito o di altri servizi analoghi inerenti all’attività del mutuante occasionata dalla concessione del mutuo o del credito non può essere considerata come rientrante negli impegni principali risultanti da un contratto di credito.

Alla luce di quanto sopra, spetta quindi al giudice nazionale verificare se determinate clausole contrattuali mirino o meno a definire l’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo rientrando così nel caso di esclusione di cui all’art. 4(2) della direttiva (art. 34(2) del nostro Codice del Consumo). In caso di risposta affermativa, il giudice nazionale dovrà esaminare se la legislazione nazionale consenta, in quanto normativa che garantisce un livello di tutela più elevato, di procedere all’accertamento della vessatorietà delle clausole stesse.

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