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Lo scorso 23 marzo è stata finalmente pubblicata la decisione dell’Enlarged Board of Appeal dell’EPO relativa alla c.d. plausibilità dell’invenzione.

In ragione del rinvio pregiudiziale operato dal Board of Appeal dell’EPO l’11 ottobre 2021 (caso T 1116/18 – EPO – Referral to the Enlarged Board of Appeal – G 2/21), l’Enlarged Board of Appeal era stato chiamato a fornire una risposta ai seguenti quesiti:

  • Può il principio di libera valutazione delle prove essere derogato ignorando i c.d. post-published data qualora la prova dell’effetto tecnico risieda esclusivamente in questi ultimi?
  • In caso di risposta affermativa alla prima domanda, possono i c.d. post-published data essere presi in considerazione qualora, in base alle informazioni contenute nella domanda di brevetto o secondo le conoscenze generali, la persona esperta del ramo avrebbe ritenuto l’effetto tecnico plausibile?
  • In caso di risposta affermativa alla prima domanda, possono i c.d. post-published data essere presi in considerazione qualora, in base alle informazioni contenute nella domanda di brevetto o secondo le conoscenze generali, la persona esperta del ramo non avrebbe avuto ragioni per ritenere l’effetto tecnico implausibile?

Prima di illustrare brevemente le conclusioni cui è giunto il massimo organo tecnico europeo, vale la pena di ripercorrere cosa si intenda per plausibilità dell’invenzione e le ragioni per cui si è a lungo discusso – e a lungo ancora si discuterà – del ruolo dei c.d. post-published data, ossia i dati resi disponibili successivamente al deposito di una domanda di brevetto.

Nonostante la Convenzione sul Brevetto Europeo non fornisca una definizione di invenzione, quest’ultima è generalmente intesa come una soluzione tecnica a un determinato problema tecnico, ed è proprio nel contributo allo stato dell’arte e al progresso scientifico che risiede la giustificazione del monopolio conferito dal brevetto.

Cosa accade, tuttavia, se la soluzione è soltanto rivendicata dalla domanda di brevetto ma non supportata da alcun elemento probatorio o argomentativo? Esiste nell’ordinamento brevettuale un onere in capo all’inventore di dimostrare che il trovato – oltre ad essere nuovo, inventivo, sufficientemente descritto e idoneo ad applicazione industriale – effettivamente consente di risolvere il problema tecnico?

Tali domande rivestono particolare importanza quando a essere in gioco sono invenzioni attinenti al settore chimico o farmaceutico, in cui la necessità di conseguire quanto prima una protezione brevettuale mal si concilia con le lunghe tempistiche richieste dalla sperimentazione.

In un sistema c.d. first-to-file, ove ottiene tutela chi per primo deposita la domanda di brevetto, è infatti prassi abbastanza diffusa quella di depositare una domanda prima di avere dati sperimentali che supportino quanto rivendicato. Inoltre, la domanda di brevetto può talvolta rappresentare essa stessa un elemento per attirare fondi e condurre le costose sperimentazioni spesso necessarie per raggiungere la prova di quanto ipotizzato.

Tuttavia, lo strumento brevettuale non è pensato per tutelare delle supposizioni, e si è perciò nel tempo affermata la necessità di prevenire domande di brevetto c.d. speculative, tese a monopolizzare anzitempo un determinato settore e potenzialmente idonee a scoraggiare – in una certa misura – la prosecuzione di ricerche da parte di terzi.

Un confine tra invenzione brevettabile e mera speculazione è stato così tracciato dapprima dall’EPO, che, mediante una serie di pronunce (di cui si ricordano per importanza EPO – T 0939/92 (Triazoles) of 12.9.1995 e EPO – T 1329/04 (Factor-9/JOHN HOPKINS) of 28.6.2005), ha ritenuto sussistere, in capo al titolare della domanda di brevetto, un onere di rendere plausibile che l’invenzione effettivamente consente di raggiungere lo scopo perseguito. Il principio è stato presto fatto proprio anche da alcune corti nazionali, e in particolare da quelle inglesi.

Sebbene nella Convenzione sul Brevetto Europeo non si rinvenga espressamente un siffatto onere probatorio in capo all’inventore, la necessità che l’invenzione risolva effettivamente il problema tecnico appare d’altronde coerente con la ratio sottesa al sistema brevettuale, e il fondamento normativo della plausibilità è stato individuato da giurisprudenza e dottrina prevalentemente nei requisiti dell’attività inventiva e della sufficiente descrizione: una sorta di condicio sine qua non comune a entrambi i presupposti di brevettabilità.

Meno agevole, forse, è comprendere però con quale rigidità debba essere inteso l’onere in capo al richiedente e, in particolare, se e in che misura consentire al medesimo di fare affidamento sui c.d. post-published data per dimostrare che il proprio trovato consegue effettivamente il risultato tecnico immaginato.

Sul punto, l’orientamento maggioritario muove dalla considerazione secondo cui ciascun requisito di brevettabilità deve essere valutato al momento della domanda, e non ex post. Da ciò, conseguirebbe che le prove successive possono sì essere ammesse a supporto della brevettabilità del trovato, ma solo nel caso in cui la domanda di brevetto renda di per sé plausibile l’effetto tecnico. Diversamente, le prove successive non dovrebbero poter essere invocate quale rimedio ex post. Il rischio di una soluzione opposta – si sostiene – sarebbe quello di ammettere la brevettabilità di un’invenzione che, in realtà, non era stata ancora raggiunta: una supposizione.

Il dibattito, come anticipato, ha trovato terreno particolarmente fertile nel Regno Unito, ove a più riprese le corti sono state chiamate a pronunciarsi circa l’ammissibilità del requisito e i suoi limiti, nel contesto tanto dell’attività inventiva, quanto della sufficienza di descrizione.

Nel caso Warner-Lambert vs Generics, attinente alla validità di un brevetto rivendicante l’uso di un noto composto per il trattamento di determinate patologie, la Corte d’Appello aveva ritenuto sì necessario dimostrare la plausibilità della soluzione rivendicata, allentandone però significativamente le maglie.

Nella pronuncia, si legge che il requisito in parola “is designed to prohibit speculative claiming, which would otherwise allow the armchair inventor a monopoly over a field of endeavour to which he has made no contribution. It is not designed to prohibit patents for good faith predictions which have some, albeit manifestly incomplete, basis […]. Thus, the claims will easily be seen not to be speculative where the inventor provides a reasonably credible theory as to why the invention will or might work”.

Riformando la sentenza, la Corte Suprema è invece giunta a conclusioni ben più rigide.

Secondo la Corte, infatti, nonostante il vaglio non debba essere particolarmente severo, non può essere ridotto a poco più di un test di buona fede. In particolare, “the claimed therapeutic effect may well be rendered plausible by a specification showing that something was worth trying for a reason, ie not just because there was an abstract possibility that it would work but because reasonable scientific grounds were disclosed for expecting that it might well work” (Warner-Lambert Company LLC (Appellant/Cross-Respondent) v Generics (UK) Ltd t/a Mylan and another (Respondents/Cross-Appellants) (supremecourt.uk)).

Per attenuare un onere probatorio apparentemente gravoso in capo al titolare della domanda di brevetto, che da più parti ha trovato severe critiche, si è negli anni più recenti fatta largo una tesi mediana, peraltro già prospettata nella dissenting opinion espressa da parte dei giudici che componevano il collegio della Corte Suprema nel menzionato caso Warner-Lambert vs Generics. Essa suggerisce di invertire la prospettiva, precludendo di fare affidamento su prove successive solo laddove la soluzione fosse al momento della domanda di brevetto prima facie implausibile.

Le forti incertezze interpretative, evidentemente non prive di ricadute pratiche sulle strategie di brevettazione delle imprese, hanno così indotto l’EPO a deferire la questione all’Enlarged Board of Appeal, chiamato in sintesi a chiarire quale, tra le seguenti teorie avvicendatesi nel tempo, appare maggiormente compatibile con il dato normativo:

  • Plausibilità ab initio: i dati post-pubblicati possono essere utilizzati per dimostrare l’effetto tecnico purché questo fosse già plausibile alla luce della domanda di brevetto e delle conoscenze generali dell’esperto del ramo.
  • Implausibilità ab initio: i documenti post-pubblicati possono essere utilizzati per dimostrare l’effetto tecnico, purché questo non fosse implausibile alla luce della domanda di brevetto e delle conoscenze generali dell’esperto del ramo.
  • Nessuna plausibilità: i documenti post-pubblicati possono sempre essere utilizzati, indipendentemente dal fatto che la soluzione proposta fosse plausibile o implausibile al momento della domanda.

Con la propria decisione, che offre un’utile ricostruzione dei precedenti rilevanti e ridisegna in parte i confini tracciati dai quesiti formulati dal giudice rimettente, l’Enlarged Board of Appeal ha sposato un approccio probabilmente inatteso, prendendo le distanze dalle categorie terminologiche affermatesi nel tempo, i.e. plausibilità o implausibilità.

In primo luogo, la pronuncia ha chiarito che i post-published data non possono essere ignorati soltanto perché depositati dopo la domanda di brevetto (par. 55 e 56), dovendo il principio di libera valutazione delle prove trovare ampia applicazione.

Ciò nonostante, si legge nella pronuncia, “the core issue rests with the question of what the skilled person, with the common general knowledge in mind, understands at the filing date from the application as originally filed as the technical teaching of the claimed invention” (par. 71 e 93). Pertanto, secondo i giudicanti, “a patent applicant or proprietor may rely upon a technical effect for inventive step if the skilled person,  having the common general knowledge in mind, and based on the application as originally filed, would consider said effect as being encompassed by the technical teaching and embodied by the same originally disclosed invention” (par. 94).

Alla luce di ciò, sono probabilmente molti gli interrogativi che rimangono sul tavolo e le riflessioni che la decisione  impone. D’altronde, è lo stesso Enlarged Board of Appeal a riconoscere “the abstractness of some of the aforementioned criteria” (par. 95).

Se con riguardo alla valutazione dell’attività inventiva – su cui vertevano i quesiti formulati dal collegio rimettente – la soluzione prospettata presta facilmente il fianco a diverse interpretazioni, l’Enlarged Board of Appeal sembra però avere espresso più nette considerazioni circa il ruolo dei c.d. post-published data nel contesto della sufficiente descrizione, quando ad essere in gioco sono invenzioni per le quali l’effetto tecnico è espressamente rivendicato, come nel caso di brevetti di secondo uso medico.

Secondo i giudicanti, “the scope of reliance on post published evidence is much narrower under sufficiency of disclosure (Article 83 EPC) compared to the situation under inventive step (Article 56 EPC). In order to meet the requirement that the disclosure of the invention be sufficiently clear and complete for it to be carried out by the person skilled in the art, the proof of a claimed therapeutic effect has to be provided in the application as filed, in particular if, in the absence of experimental data in the application as filed, it would not be credible to the skilled person that the therapeutic effect is achieved. A lack in this respect cannot be remedied by post-published evidence” (par. 77).

Un’interpretazione, questa, che somiglia tanto alla teoria della plausibilità ab initio e che non contribuisce a mitigare le incertezze con cui le imprese farmaceutiche si confrontano nell’individuazione del giusto momento in cui depositare una domanda di brevetto nel corso dell’iter di ricerca e sviluppo.

Nell’attesa di comprendere come l’EPO applicherà i principi indicati dall’Enlarged Board of Appeal, una conclusione sembra certa: la c.d. plausibilità, i suoi contorni e le sue implicazioni rimarranno con buone probabilità tra i temi più dibattuti e attuali nel panorama brevettuale, e saranno verosimilmente presto affrontati anche dal Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC), ormai ai nastri di partenza.

Su un simile argomento può essere interessante l’articolo: “Novità in materia di Brevetto Unitario: l’EPO rende disponibili i moduli per la richiesta”.

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